Estratto
dall'articolo pubblicato su
STORIA ILLUSTRATA n.346
settembre 1986
Arnoldo Mondadori Editore

"La nostra condizione qui a Parigi è orribile. Noi siamo disonorati ed avviliti, tanto che c'è duopo stare nascosti." Così scriveva alla madre il giovane Quintino Sella nel marzo 1849, alla vigilia della battaglia della "fatal Novara", che decise le sorti della prima guerra d'indipendenza. Non poteva sopportare i dileggi dei suoi compagni di corso all'Ecole des mines, che gli chiedevano perché non fosse accorso in Piemonte a fare il suo dovere nelle fila dell'esercito di Carlo Alberto... A rigore, la vicenda di Quintino Sella ... non ha nulla a che vedere con le peregrinazioni di tanti suoi conterranei che si recavano in Francia e in altri Paesi d'Europa, risiedendovi per qualche tempo, in cerca di lavoro e di fortuna. Tuttavia l'esperienza di Quintino (come quella di altri rampolli della buona borghesia biellese, che usavano compiere fuori d'Italia parte del loro tirocinio professionale o del loro noviziato in fabbrica) si iscrive anch'essa con quel vasto intreccio di rapporti che legava da tempo il Piemonte con alcune contrade al di là delle Alpi. Rapporti frequenti e in certo qual modo familiari, che non si limitavano semplicemente allo scambio di merci, ma che si estendevano pure alla circolazione di uomini e di idee, a flussi tali da coinvolgere differenti strati della società subalpina. Questo intreccio di relazioni valeva in particolare per il Biellese, in condizione di comunicare agevolmente tanto con i Grigioni e il Vallese quanto con l'Alta Savoia e con i primi contrafforti del Delfinato. Fin dal sei-settecento per guadagnare qualche soldo, boscaioli e artigiani scendevano in buon numero, durante alcuni periodi dell'anno, dall'altra parte della catena alpina. Successivamente, durante il dominio napoleonico molti furono i muratori e scalpellini biellesi impiegati nei lavori delle grandi strade del Moncenisio, del Monginevro e del Sempione, alle dipendenze di alcuni impresari loro compaesani (primi, fra tutti, i fratelli Rosazza, originari dell'alta Val Cervo)... l'emigrazione biellese si distingueva per il suo maggior grado di specializzazione. Soprattutto in Francia, durante il secondo impero, vennero crescendo le "colonie" di biellesi che attendevano all’esecuzione di opere pubbliche mentre altri vi si stabilirono una volta terminato, nel 1871, il traforo del Fréjus. Tagliapietra e muratori emigravano in buon numero da un luogo all’altro, sovente al seguito di appaltatori loro compaesani, che riuscivano ad aggiudicarsi commesse di una certa importanza. Il loro successo era dovuto al forte spirito di coesione che regnava in queste squadre, composte di conoscenti e talora di congiunti stretti, e non solo alle condizioni più vantaggiose che erano in grado di offrire per via dei modesti salari di cui si accontentavano i lavoratori italiani. Con questo sistema gli emigranti biellesi avevano messo radici in vari dipartimenti del sud-est francese e s’erano affacciati poi anche in alcuni territori dell’Europa centrale (tanto che ‘biellese" sarebbe presto diventato sinonimo, per antonomasia, di muratore).


Nella seconda metà dell’ottocento il fenomeno migratorio cominciò a coinvolgere anche quella parte di popolazione che fondava il suo equilibrio sulla combinazione fra lavori campestri e manifattura tessile. A produrre questo mutamento di scenario fu l’introduzione del telaio meccanico e, in via più generale, l'accentramento dei lavoranti in fabbrica... Per non imbattersi nelle "sciagure" di quanti s’erano dovuti rassegnare alla vita di fabbrica, nonostante che i salari operai fossero migliori dei redditi che prima si traevano dal lavoro a domicilio, crebbe il numero di quanti preferivano scappar via, piantar tutto per cercare fortuna in altri Paesi... In parecchi casi la decisione di partire fu quindi il risultato di una scelta di vita, di una scelta in cui si rispecchiavano una certa cultura del lavoro e un certo modo di sentire il proprio futuro. Di lavoro nei biellese non ne mancava: l'industria tessile, grazie anche agli effetti del protezionismo doganale, s'era scrollata di dosso il peso della concorrenza straniera sul mercato interno e stava affermandosi su alcune piazze straniere.
La "grande emigrazione" tra la fine dell’ottocento e l’inizio del nuovo secolo (dal 1876 al 1914 emigrarono oltre 73.000 biellesi, pressappoco la metà degli abitanti del 1881) ebbe pertanto origine dalla rottura dei vecchi equilibri comunitari e familiari su cui si era retto per tanto tempo il sistema della tessitura a domicilio... l'emigrazione dei tessitori biellesi ebbe ben pochi punti in comune con quella degli operai lanieri di Schio che emigrarono essenzialmente per sfuggire allo spettro della disoccupazione senza avere alle spalle qualche bene al sole. Dal biellese partirono lavoratori che non appartenevano alla massa del proletarlato, ma che rientravano piuttosto nelle file dei piccoli possidenti e artigiani, proprietari di un minuscolo fazzoletto di terra e detentori allo stesso tempo di particolari capacità tecniche. Essi avevano perciò risorse sufficienti tanto per restare quanto per emigrare. Sotto questo profilo i tessitori non erano da meno dei mastri muratori: avevano anch’essi dietro di sé una casa o un campicello e vantavano delle specifiche competenze. Tutti insieme essi vennero perciò formando una corrente migratoria fatta soprattutto di gente di mestiere... Se i contadini del Veneto se ne andavano dai loro paesi giurando di non mettervi più piede o maledicendo i "siuri", quelli biellesi non lasciavano dietro di sé terra bruciata, per quanto dura fosse la vita di chi aveva fino allora penato fra la coltura di pochi avari dossi montani e le fatiche non meno pesanti del lavoro ai telai a mano. La prospettiva del ritorno fu una componente fondamentale dell’emigrazione biellese...
... si moltiplicarono, alle soglie del ventesimo secolo, tragitti e punti d’arrivo dell’emigrazione biellese. Negli Stati Uniti Paterson, West Obokene altri centri del New Jersey videro sorgere in breve tempo delle folte colonie di tessitori biellesi, pratici delle lavorazioni della lana come di quelle della seta e accomunatì da una medesima fede politica, un misto di socialismo e di libertarismo anarchico. Piccole comunità biellesi di muratori, scalpellini, boscaioli, fabbri si costituirono, fin dall’ultimo scorcio dell’ottocento, in West Virginia, in Pennsylvania, nel New England e nel Maryland. Nello stesso tempo numerosi paesi dell’America Latina e del continente nero fecero ingresso nella mappa delle correnti migratorie biellesi... Sta nel biellese l’emigrazione ... fornì un apporto non marginale alla mobilizzazione finanziaria, all’espansione di nuove energie e forze produttive, a una ridistribuzione della ricchezza...

Articolo pubblicato su STORIA ILLUSTRATA n.346 settembre 1986 - Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
Estratto su www.biellaclub.it per gentile concessione dell'autore


Pagina realizzata nel dicembre 2002 ed aggiornata nel novembre 2017

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