L'ASSASSINAT DE THIBERGEN ET DUVAL

Capitolo estratto dal libro “BIELLA NAPOLEONICA”
di Diego Siragusa www.diegosiragusa.cjb.net
Ed. Botta

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Sabato 6 maggio 1809 la gendarmeria di Crevacuore arrestò un carbonaio, coscritto refrattario, di nome Antonio Rege nativo di Capo di Mosso, e il giorno dopo, domenica, fti condotto a Mosso Santa Maria e rinchiuso in una camera di sicurezza della caserma.  Poiché la finestra della camera guardava sulla piazza, diverse persone si accostarono all'inferriata per parlargli.  Si avvicinò Giacomo Bozzo, consigliere municipale, ed esortò il detenuto a stare tranquillo che alcune persone lo avrebbero liberato.  Giacomo Bozzo incontrò nella piazza di Mosso Santa Maria Giovanni Antonio Rege, anch'egli coscritto refrattario e fratello del detenuto, al quale disse che il giorno seguente suo fratello doveva essere condotto a Cossato, di là a Biella e quindi a Vercelli e che bisognava fare qualcosa per liberarlo.  Al colloquio assistette anche Giuseppe Rege, carbonaio e cugino del detenuto.  Alle undici di sera, nella stalla di Antonio Rege, pecoraio, cugino omonimo del detenuto, si diedero convegno: Bernardo e Giovanni Antonio Rege, fratelli del detenuto e carbonai anch'essi, Giuseppe e Antonio Rege, cugini dei tre fratelli, Martino Rosso e Pietro Peretto detto "Bozzo", entrambi cognati del detenuto.  Progettarono di liberare il detenuto il mattino dopo, discussero, decisero, si armarono di fucili e pistole ed uscirono dalla stalla alle due di notte per eseguire il loro piano.  Dopo aver saputo che di lì a poche ore il detenuto sarebbe partito per Cossato scortato da due gendarmi, Martino Rosso informò i quattro Rege e se ne andò a Biella.

Dopo aver attraversato la valle di Mosso i quattro Rege si misero in un luogo adatto della strada per Cossato; due di loro si annerirono il volto per non farsi identificare ed attesero di liberare il detenuto.  Verso le ore 7 del giorno 8 maggio 1809, due gendarmi francesi Thibergen e Duval, della stazione di Mosso Santa Maria, capoluogo del cantone di Mosso, circondario di Biella, scortavano il detenuto per condurlo a Cossato.

Giunti nelle vicinanze del luogo dove i quattro si erano appostati, furono aggrediti e disarrnati.  Durante la colluttazione Giovanni Antonio Rege sparò una schioppettata al gendarme Thibergen che gli forò il labbro inferiore destro, s'introdusse nel palato e uscì nell'occipite uccidendolo immediatamente.  Ordinarono a Duval di togliere i ferri al detenuto il quale, appena liberato, fu armato di una pistola e spinto a sparare sul gendarme Duval che fu invece ferito da una pallottola che gli forò il labbro superiore, gli ruppe i denti incisivi e si conficcò nel palato.  Sicuri di averli uccisi entrambi, li spogliarono delle armi e  fuggirono.

Le autorità di Biella e diverse brigate di gendarmeria recarono sul posto e raccolsero le deposizioni di Duval e di altri per mettersi sulle tracce degli assassini.  Gendarmi, guardie nazionali e truppe di linea cominciarono a battere le montagne, gole e sentieri impervi per snidare i fuggitivi.

il 14 maggio fu catturato Giuseppe Rege che con le sue rivelazioni favorì la cattura degli altri.  Rege Antonio e Rege Bernardo, affamati e braccati, si arresero poco dopo.  Secondo Giuseppe Rege c'erano ancora due complici in tutto che parteciparono all'aggressione, ma Duval sosteneva che erano sette o otto.  Poiché tutto il territorio era notoriamente ostile ai francesi, l'intero borgo di Capo di Mosso fu disarmato e si decise di arrestare alcune persone sospettate di connivenza nell'attentato: Cravello Domenico, Bozzo Giovanni, Bozzo Marco, Rosso Giovanni, Bozzo Giacomino, Rollando Bartolomeo e Rege Giovanni.  Aiutati da oltre trecento cittadini e da "hommes d'élite", le milizie si avventurarono in zone inaccessibili persino agli animali selvatici per scovare gli altri assassini che, secondo il prefetto, potevano raggiungere le cime di monti coperte di nevi eterne.  Occorrevano più di diecimila uomini per battere un territorio pieno di sbocchi in Val Sessera, Val d'Aosta e altri paesi.  Durante le ricerche furono scoperti diversi coscritti disertori, refrattari e ritardatari.

Il 19 maggio gli altri due assassini furono catturati, compreso Antonio Rege che era stato liberato dalle mani dei gendarmi.  Ma Duval aveva detto che erano sette od otto e, allora, le ricerche continuarono.

Il 23 maggio, sotto buona scorta, tutti gli arrestati furono tradotti a Vercelli e rinchiusi nelle prigioni civili separati gli uni dagli altri, in attesa di essere condotti a Casale davanti alla Corte di Giustizia criminale per espressa volontà del principe Camillo Borghese.

Gli arrestati in tutto erano quattordici: i cinque Rege, sette altri individui sospettati di complicità: Cravello Domenico, Bozzo Giovanni, Bozzo Marco, Bozzo Giacomino, Rosso Giovanni, Rege Giovanni e Rollando Bartolomeo; a questi furono aggiunti, per motivi di sicurezza, Peretto Pietro e Rosso Martino.

Soddisfatto del successo dell'operazione il principe Borghese elogiò anche la condotta dei comuni di Croce Mosso e di Mosso Santa Maria che avevano cooperato per la cattura degli assassini.  Subito dopo revocò le misure di severità applicate contro i cittadini di Capo di Mosso, augurandosi che la loro buona condotta li avrebbe resi degni di questo favore.

Il carattere peculiare di questo atroce episodio è che gli aggressori di Thibergen e Duval erano fratelli e cugini di Antonio Rege, e due di loro coscritti refrattari. I sentimenti antifrancesi e l'avversione alla coscrizione erano piuttosto radicati nelle valli biellesi dove le condizioni di vita erano difficili e l'attaccamento alle manifatture familiari impegnava l'orizzonte di vita e le speranze di una comunità laboriosa che chiedeva solo di vivere in pace e non tollerava che i propri uomini fossero mandati a combattere in luoghi lontani, sottratti alla solidarietà di famiglia o di gruppi di famiglie.

Gli assassini erano tutti del borgo di Mosso Santa Maria che allora aveva circa 200 anime, e tra loro legati da vincoli di parentela e comune appartenenza ad uno stesso stato sociale.  Non per caso i francesi per scoprire gli assassini dovettero impiegare le spie, "les hommes d'élite" di altri comuni, soldati e gendarmi provenienti da varie parti del circondario. Il prefetto, infatti, riconobbe che un gran numero di famiglie di Capo di Mosso erano più o meno alleate degli assassini per parentela ed amicizia; al borgo fu applicato lo stato di guerra per convincere gli abitanti alla collaborazione con le autorità.

Gli effetti di un insuccesso e dell'impunità sarebbero stati molto gravi; era quindi necessario per le autorità ottenere anche un risultato minimo.  Proprio l'alto numero di disertori e coscritti refrattari di Capo di Mosso e l'ostilità dei suo abitanti imponevano assoluto equilibrio e "maturità nelle ricerche".

Il prefetto blandi apertamente le ambizioni del comandante dei gendarmi di Mosso Santa Maria esortandolo a guadagnarsi il plauso, l'onore del governo e del principe Borghese che fremeva d'impazienza e reclamava un'immediata ed esemplare punizione per gli assassini.

Il 13 maggio il prefetto scrisse al comandante della gendarmeria di Mosso Santa Maria:

"... quattro o cinque coscritti refrattari di Capo di Mosso si sono presentati volontariamente: (... ) ma i vostri successi devono andare più lontano.  Gli assassini, il Principe, l'interesse pubblico, la sicurezza della vostra arma, chiedono imperiosamente che siano arrestati, ci vuole un grande esempio, occorre che la vendetta pubblica cada su coloro che hanno avuto la barbarie di tingere le rocce di Mosso del sangue dei vostri bravi compagni".

Capo di Mosso era il rifugio dei coscritti ribelli che disponevano di armi e di appoggi in tutto il paese.  Nessuno sapeva che l'8 maggio Thibergen e e Duval avrebbero scortato Antonio Rege, ma gli assalitori apparivano preparati agli avvenimenti.  "C'era dunque - osserva il prefetto - uno spirito di resistenza nel paese".

Il principe Borghese raccomandò di evitare misure di rigore contro i cittadini di Croce Mosso, luogo dove fu commesso il crimine, per non coinvolgere gli innocenti e perché gli abitanti non vi presero parte e si misero alla ricerca dei colpevoli.  "Ma gli abitanti del borgo di Capo di Mosso - minacciò il prefetto - sono ben lontani dal meritare questi riguardi".  Così fu ordinato il disarmamento di Capo di Mosso e l'applicazione delle leggi dello stato di guerra.

Il processo si svolse davanti alla corte di Giustizia Criminale Speciale dei dipartimenti di Marengo e della Sesia sedente in Casale che, dopo l'atto d'accusa svolto dal procuratore generale imperiale Giovanni Francesco Crose de Mombriset, condannò il 31 luglio 1809 Rege Bernardino fu Bernardo, di 23 anni, carbonaio; Rege Antonio di Antonio, di 22 anni, pecoraio, e Rege Giuseppe di Bartolomeo, di 33 anni, carbonaio, alla pena di dodici anni di ferri; Rege Giovanni Antonio di Bernardo, di 28 anni, carbonaio, e Rege Antonio di Bernardo, di 32 anni, carbonaio, alla pena di morte.

Il 26 luglio, nel suo rapporto sull'ordine pubblico, il prefetto fece una significativa asserzione: disse che l'episodio non era riferibile ad alcuna "combinazione sediziosa".  Gli assassini erano tutti parenti di Antonio Rege, dunque il suo rilascio era il loro unico obiettivo.

Informato del delitto nel territorio della sua diocesi, il vescovo di Vercelli Canaveri venne nella valle di Mosso per illuminare gli abitanti sui loro doveri e sui loro interessi.  Il 6 settembre 1809 il ministro dei culti Bigot de Premeneu scrisse a Napoleone informandolo di aver ricevuto il 19 agosto una lettera del vescovo Canaveri che descrive la sua visita pastorale nelle montagne dove fu ucciso Thibergen e ferito Duval:

"Mi trovo qui dopo un mese, - scrive Canaveri - ho visto le famiglie più in vista, quelle dei colpevoli arrestati; ho parlato a tutti.  Mi sembra che la persuasione guadagni gli spiriti e che si potrà nell'avvenire contare sulla loro sottomissione alle leggi e sulla loro obbedienza al Governo".

Racconta che i fratelli Rege, poco prima della esecuzione della sentenza di morte, hanno scritto una lettera toccante al curato di Mosso Santa Maria nella quale, dopo essersi pentití e domandato perdono del male fatto, essi supplicano i parenti e gli amici di sottomettersi alle leggi e di non imitare mai il loro cattivo esempio.  La lettera fu letta durante la predica per ordine di Canaveri stesso che approfittò dell'occasione per arringare il popolo.  Per influire sullo spirito degli abitanti il vescovo decise di offrire loro, per il giorno di San Napoleone, una festa religiosa con musici e fuochi d'artificio; raccolse tutto il clero dei comuni vicini, si mise alla testa della processione e scelse il migliore predicatore per il sermone.  C'erano cento guardie nazionali armate che fronteggiavano una folla di circa diecimila persone.  "Il gruppo di montagne - conclude il vescovo - s'estende nove leghe in lunghezza e quattro in larghezza.  Mi sembra che lasceremo una profonda impressione nel cuore di questi montanari che durerà a lungo".

Il ministro Bigot de Premeneu, concluse la sua lettera facendo notare a Napoleone il "buon spirito di cui il Vescovo di Vercelli è animato"

Così il clero e il suo prestigioso vescovo pacificarono la valle di Mosso, il gendanne Duval fu trasferito a Vercelli per servizio e il comune di Croce Mosso, per questo delitto, fece i conti delle spese: 268 franchi e 55 centesimi.

Questo crimine non fu l'unico accaduto in questo territorio.  Il 15 gennaio del 1804 il sindaco di Valle San Nicolao fu ucciso a colpi di pietra da un certo Giovanni Gaudino che fu spinto a questo crimine dal dispetto di vedere il proprio fratello designato per la coscrizione.

Il 17 dicembre 1809 un altro gendarme, Melchiorre Grassotti, che si distinse per la cattura dei briganti Giovanni e Stefano Vola, fu ucciso nel comune di Camandona, cantone di Mosso, con un colpo d'arma da fuoco mentre si recava ad un appuntamento con una pattuglia alla ricerca di certi vagabondi.  L'assassino si chiamava Giovanni Machetto un coscritto refrattario che per sfuggire alla cattura si nascose in montagna.  Ottanta uomini della Guardia nazionale, più di dodici gendarmi e due guardie forestali iniziarono a rastrellare il territorio ottenendo il solo risultato di catturare un refrattario e la consegna spontanea di altri sei.  Gli abitanti di Camandona si tassarono e raccolsero 369 franchi come taglia per colui o coloro che avessero consegnato il Machetto alla polizia.

Nonostante fosse operante un decreto del 6 dicembre del principe Camillo, che aveva ordinato una battuta generale in parecchi dipartimenti  sottoposti al suo governo per snidare e catturare tutti i refrattari alla leva, Giovanni Machetto riuscì a sottrarsi alla cattura grazie alla complicità di altri refrattari e degli abitanti del circondario.

Infatti il prefetto Giulio, in una lettera al direttore della polizia, afferma che nel comune di Camandona e nel cantone di Mosso Santa Maria forte è l'avversione della gente contro coloro che applicano la legge della coscrizione e a questo cantone appartiene il più alto numero di refrattari di tutto il dipartimento.

Il caso "Thibergen e Duval" e l'assassinio del gendarme Grassotti, furono gli episodi simbolici più rilevanti che contrassegnarono la dimensione di massa dell'avversione alla coscrizione da parte delle popolazioni biellesi, soprattutto di quelle della Valle di Mosso e più prossime alle montagne.

 


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