Di Luciano Peccarisi
L’uomo ha ricevuto nella modernità tre colpi mortali. Non è più un essere privilegiato.
Delle tre ferite narcisistiche la prima è di Copernico:
la terra non è al centro dell’universo, vaga nel cielo insieme ad altri miliardi di pianeti.
La seconda è di Darwin:
non siamo il vertice di una lunga catena di evoluzione animale, ma una specie tra le tante.
Poi Freud ha inferto la terza:
della nostra mente non ci possiamo fidare, governata com’è da forze inconsce e incontrollate.
È però della scienza il colpo di grazia:
siamo immersi in uno spazio infinito e in un tempo profondo, di una vastità sconfinata.
Nasce la terra 4,5 miliardi di anni fa, e la vita 3,75 miliardi: noi siamo l’ultimo quarto d’ora. Se la paragoniamo a un anno solare, fino a Natale, non c’è quasi nessuno, poi comincia una gran confusione, i dinosauri spariscono, altri si affacciano. L’uomo compare pochi secondi prima della mezzanotte.
“Se la torre Eiffel rappresentasse l’attuale età del mondo, lo strato di vernice sulla punta del suo pinnacolo rappresenterebbe la durata dell’uomo, e tutti percepirebbero che quel sottile strato fu ciò per cui fu costruita la torre …ma non ne sono sicuro” (Mark Twain)