di Germano Salvatorelli
Il Golem, questo essere gigantesco creato per proteggere gli ebrei dai loro persecutori, entra nell’immaginario collettivo ebraico piuttosto tardivamente anche se il concetto di Golem, come vedremo, risale alla più remota antichità, Per introdurre il concetto di Golem ci baseremo sulla definizione data da Sholem: “il Golem è una creatura o meglio un essere umano fabbricato grazie ad un processo magico che richiede l’utilizzo dei santi nomi di Dio”.
In Salmi 135, 15-19 si legge: “le mie ossa non ti sono state nascoste quando ero nel segreto, nascosto in una terra profonda non ero che un Golem e tuoi occhi mi hanno visto. Nel tuo libro erano già tutti descritti quei giorni che furono formati quando nessuno di essi esisteva”. Già dalla lettura dei versetti scaturisce l’idea che vede nel Golem una creatura nata dalla polvere come l’Adamo della Genesi: “il Signore Dio formò l’uomo di polvere della terra, gli spirò nelle narici il soffio vitale e l’uomo divenne un essere vivente” (Gen. 1,27). Se la Torà descrive il processo della formazione di Adamo in maniera molto succinta, maggiori particolari vengono dati nei diversi Midrashim.1 Il Levitico Rabbà (V° secolo) recita: alla prima ora l’idea germinò nell’intento. Alla seconda ne discusse con gli angeli di servizio. Alla terza mise assieme la polvere. Alla quarta la lavorò. Alla quinta formò le sue membra. Alla sesta ne fece un Golem. Alla settima gli insufflò un’anima, all’ottava lo mise nel Paradiso.
Il Midrash Avkir (IX° secolo): “allora Dio ne fece l’equivalente di un Golem e quando fu sul punto di porre una anima in lui si disse: se lo creo adesso si dirà che egli fu il mio associato al momento della creazione. Lo manterrò comunque allo stato di Golem fino al momento in cui avrò creato qualcosa d’altro. E quando ebbe creato ogni cosa pose l’anima in lui e lo fece esistere”. In Pirkei De-Rabbi Eliezer, un tardo midrash dell’VIII° secolo, che ha per protagonista Eliezer ben Hyrcanus vissuto alla fine del I° secolo, le operazioni riguardanti la creazione sono così elencate: raccolta della polvere, impasto, formazione degli arti. Tra quest’ultima operazione e l’introduzione dell’anima vi è un’operazione intermedia espressa dal verbo letakken (correggere, restaurare, regolamentare). Prima dell’introduzione dell’anima il Golem è una creatura imperfetta, allo stadio superiore di quello di una statua ma inferiore a quello di un essere “animato” da un’anima. In molti testi rabbinici (Avot V) il termine Golem è opposto a quello di hacham (saggio). Come il Golem è in qualche modo una specie di embrione di uomo, il semplice è una entità vivente ma non ha ancora ricevuto la saggezza, qualità che farà di lui un uomo a pieno titolo. Il Golem di Adamo aveva già ricevuto, secondo Bereshit Rabbà, la rivelazione delle generazioni future. Già a questo stadio Dio lo avrebbe dotato di alcune facoltà, anche se non è possibile escludere che esse fossero già insite nella materia con cui era stato creato (poteri quindi di origine tellurica, tema questo sviluppato in alcuni testi gnostici). Da quanto sopra esposto risulta che sia nella Bibbia, sia nella letteratura midrashica, il termine Golem è riferito ad uno stato di semifinitura nelle tappe della creazione di Adamo a partire dalla polvere della terra. Prima che Dio vi insuffli un’anima vitale (Genesi 2,7; Midrash Rabbà 14,8) non era altro che una massa senza forma (Talmud Bavlì 2, Sanhedrin 38b 3) o in altre varianti una massa di terra a forma umana ma ancora senza vita (Midrash Vaikrà Rabbà 29,1).
Il primo passo fondamentale nel quale viene indicata la possibilità di creare un uomo artificiale lo troviamo nel Talmud Bavlì (Sanhedrin 65b): “Ravà ha detto: se i giusti lo volessero potrebbero creare un mondo poiché è scritto: le tue iniquità sono state una barriera tra te e il tuo Dio. In effetti Ravà ha creato un uomo e lo ha inviato a Rabbi Zeirà. Il Rav gli parlò ma l’altro non rispondeva. Allora egli disse: tu vieni dai pii: e ritorna alla tua polvere”.
La creazione di un essere umano muto indica che le capacità anche di un uomo pio come Ravà sono limitate dall’iniquità di cui nessun uomo è completamente esente. Se fosse stato capace di creare un uomo dotato di parola, non ci sarebbe stata nessuna differenza tra la sua opera creativa e quella di Dio quando creò Adamo. Ciò avrebbe significato che nessuna iniquità lo avrebbe separato da Dio. Per quanto riguarda le modalità della creazione di questo essere umano nel Talmud esse sono estremamente vaghe. Solo la materia prima è indicata: “ritorna alla tua polvere”.
La lettura del testo aramaico Ravà brà gavrà (Rava creò un uomo) nel quale le consonanti della frase sono pressoché identiche, come simile è l’assonanza delle parole, sembra suggerire l’importanza delle lettere dell’alfabeto ebraico per la creazione dell’antropoide. Rashi (1040-1105) commentando il passo in esame spiega che “Ravà creò un uomo per mezzo del Sefer Yetsirà: essi avevano studiato le combinazioni di lettere del Nome (divino). In “essi” Rashi estrapolerebbe anche il fatto, sempre descritto nel Talmud, che Rabbi Haninà e Rabbi Oshayà stavano studiando le Hilkhot Yetsirà, secondo alcuni un’altra denominazione del Sefer Yetsirà 4 quando riuscirono a creare un vitello di tre anni. Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che, la creazione dell’antropoide da parte di Ravà, è nel Talmud immediatamente successivo ad una frase nella quale si tratta della creazione del mondo. Ora, secondo certi concetti midrashici e Talmudici il mondo fu creato per mezzo di combinazioni delle lettere del nome divino.
Nei secoli successici, e in particolare nel IX° secolo, prevale tra i Gheonim 5 il tentativo di spiegare in maniera più razionale, edulcorandone quindi l’elemento magico, l’attività creativa di Rava. Il passo di Sanhedrin viene quindi reinterpretato: i giusti sono capaci di creare un mondo nuovo non direttamente, ma per mezzo della preghiera che indirizzano a Dio. L’apparizione di un essere umano artificiale è considerata come il prodotto di una illusione magica; come la creazione di una entità, anche se imperfetta, formata di materia. Nel XII° secolo Rabbi Juda ben Barzilai Barceloni, nel suo commentario al Sefer Yetsirà spiega come lo studio delle Hilkhot Yetsirà perseguito dagli Amoraim del III°-VI° secolo 6 poteva produrre l’apparizione di simulacri di animali e, in casi di particolare perfezione intellettuale e spirituale di chi si dedicava a questi studi, l’apparizione di un uomo nuovo. Il mutismo di questo essere che comunque era sempre un ahizat eynaïm, una visione illusoria, non è imputabile all’imperfezione del suo creatore umano ma ad una intenzione volontaria del creatore divino preoccupato dal distinguere un uomo vero dall’apparenza di un uomo.
Nel XII° secolo in ambiente askenazita viene ripreso il tema della creazione di un uomo artificiale ed è nell’opera di Rabbi Abraham ibn Ezra (1080-1164) e di Rabbi Juda ha Hassid e soprattutto del suo allievo Rabbi Eleazar di Worms (1165-1230) che viene descritto il procedimento creativo: “che prenda della terra vergine in un luogo montagnoso che nessuno abbia mai lavorato. Che impasti la polvere con acqua viva e che faccia un corpo. Che cominci a combinare le lettere delle 231 porte membro dopo membro e che faccia corrispondere ogni membro con la lettera adeguata menzionata nel Sefer Yetsirà”. (Commentario al Sefer Yetzirà).
L’operatore utilizza per la sua opera dunque 231 combinazioni di lettere. Questo numero deriva dalla moltiplicazione delle 22 parti del corpo umano per le 11 prime lettere dell’alfabeto ebraico, lettere queste che hanno un potere creativo, mentre le combinazioni che fanno intervenire le 11 ultime lettere esplicano sulla creatura un potere distruttivo. La distruzione del Golem non è di certo immediatamente successiva alla creazione come sembra dimostrare la frase se desidera distruggere. La componente estatica del rito passa quindi in secondo piano: l’operatore aspira piuttosto ad un fine pratico che ad una propria elevazione spirituale.
Un’altra descrizione della creazione del Golem con in più qualche altro interessante dettaglio la troviamo in alcuni manoscritti, uno dei quali conservato presso l’Università di Bologna: “questa creatura che tu vuoi creare: in corrispondenza con ognuna delle membra considera quale lettera devi assegnarle combinala come io ti indicherò. E devi prendere della terra vergine al di sopra di un suolo vergine e spanderla qua e là nel suo Santo Tempio essendo in stato di purezza rituale. Purificati e fai di questa terra il Golem che tu vuoi creare e animare con il soffio della vita. Vedi quale lettera devi assegnarle e ciò che ne risulterà. Fai la stessa cosa con le lettere del tetragramma per mezzo della quali l’universo intero è stato creato. Formula un notariqòn (manoscritto dell’Università di Bologna 2914 fos 178b-180b) 7 e recita ognuna delle sue lettere con le vocali o, a, i, e, ei, u. Immediatamente questo corpo sarà vivificato”.
L’analogia con la creazione di Adamo è più che evidente: “egli riunì la polvere dove era il Tempio e ai quattro angoli del mondo (Targum Yerushialmì, Genesi 2,7) 8.
Una delle più importanti descrizioni della creazione di un Golem la si trova nel “Commentario del Sefer Yetsirà” dovuto a un autore anonimo del XIII° secolo vissuto nel nord della Francia, anche se le edizioni stampate di questo manoscritto, lo attribuiscono a Rabbi Saadià Gaon (842-892). L’interesse per questo testo medievale è dato dal fatto che dopo il passaggio del Talmud (Sanhedrin 65b) per la prima volta non si indica solo una tecnica per la creazione del Golem, ma tale creazione viene descritta come un’esperienza vissuta. Un altro elemento specifico di questo testo è il motivo della danza. Il potere inerente alle lettere non è il solo ad intervenire nel processo della creazione; gioca infatti un ruolo determinante il senso delle circonvoluzioni della danza. Inoltre il ruolo protettivo del cerchio ha qui un ruolo secondario rispetto al movimento circolare. Un altro elemento di grande interesse è il fatto che il Golem viene interrato prima che inizi il rito della combinazione e della permutazione delle lettere. Ci si trova qui sicuramente in presenza di un rito di rinnovamento o di rinascita. Il senso nascosto di questa pratica (interramento) può essere spiegato se ci si ricollega al Salmo 139 nel quale il Golem, riconducibile all’embrione umano, sarebbe stato “nella parte più profonda della terra”. La terra starebbe al Golem come il seno materno sta all’embrione. Dopo essere stato interrato, il Golem sorge dalla terra grazie alle formule pronunciate attorno a lui. Si tratterebbe quindi, in questo caso, di un atto analogo al parto. La vivificazione del corpo avverrebbe in una fase ulteriore del rito.
A differenza degli Hassidim Askenazim 9, per Abraham Aboulafià (1240-1292), il più illustre esponente della cosiddetta Cabalà estatica 10,11, la creazione del Golem ha l’esclusivo significato di una esperienza di estasi alla fine della quale si ottiene la visione di una figura umana. Questo può spiegare perché Aboulafià dia infatti un’esauriente descrizione delle modalità che portano alla formazione del Golem, ma non dia alcuna indicazione sulle modalità di distruzione del Golem stesso. La creazione è illusoria e momentanea: non appena cessato quel particolare stato di coscienza, o meglio del superamento dello stato di coscienza il Golem si dissolve senza dover far ricorso ad alcun mezzo per ottenere questo scopo. La creazione di un corpo reale è poco importante per un mistico come Abulafià: “la più grande di tutte le azioni è fare delle anime… così dunque ogni uomo saggio dovrebbe occuparsi a creare delle anime piuttosto che dei corpi, poiché il dovere di fare dei corpi non ha alcun scopo che fare delle anime. E’ così che l’uomo poté ammirare il suo creatore…” Solo l’insegnamento spirituale è creativo per eccellenza. La creazione di un Golem, sprovvisto di anima, è per Aboulafià un’attività priva di senso.
Un tentativo di sintesi tra le concezione askenazite e le speculazioni teosofiche della Cabala, è stato compiuto da Rabbi Yoseph ben Shalom Askenazi vissuto all’inizio del XIV° secolo. Fedele ai concetti espressi da Rabbi Eleazar di Worms, per quanto riguarda il valore delle 231 combinazione di lettere e del potere creativo delle lettere da alef a lamed e distruttivo delle lettere lamed-tav egli introduce un nuovo elemento nel processo creativo del Golem: la Sefirà 12 Hesed 12. La Sefirà Din 14 viene introdotta nelle pratiche destinate ad annientare la creatura.
Un altro nuovo tema è rappresentato dal concetto del colore in relazione alle Sefirot. L’uso del colore nell’ipotetico processo creativo potrebbe spiegare l’assenza della polvere e di altri materiali per la creazione del Golem. Nel suo Commentario di Bereshit Rabbà, Yoseph Askenazi afferma che la polvere destinata alla creazione di Adamo racchiudeva 5 colori e le loro miscele. Questi colori sono presenti nelle membra del corpo umano. Il concetto del colore è, per Yoseph Askenazi, ricollegabile alle Sefirot che egli chiama i dieci Zoharim o Splendori. La creazione di un essere umano artificiale sarebbe il simbolo della creazione di strutture sefirotiche sotto forma di un antropoide.
La comparsa della Cabalà in Provenza e in Spagna è accompagnata da uno scarso interesse per il Golem nonostante che questo movimento mistico fosse fortemente influenzato dal Sefer Yetsirà e dalle tecniche relative alla sua creazione. Tuttavia nel Sefer ha Bahir 15 si legge che, contrariamente a quanto esposto in Sanhedrin, l’uomo avrebbe la capacità, se mantiene pura la propria anima dalle iniquità, di creare un essere provvisto di parola. Ciò mette in evidenza secondo l’anonimo autore del libro, le enormi potenziali capacità magiche insite nell’uomo. Per Nahmanide (1194-1270) l’interpretazione del passo di Sanhedrin sarebbe una prova dell’esistenza di più di un’anima. Il Golem sarebbe capace di movimento, ma non di parola in quanto non possiede un’anima superiore che, secondo questo autore, può essere trasmessa solo da Dio. Questo concetto viene ulteriormente sviluppato da Rabbi Meir ben Gabbai. Nel suo Avodat ha Kodesh (1567) egli ipotizza che la facoltà inferiore dello spirito umano, il Nefesh, è all’origine del movimento, la facoltà superiore, il Ruah, è responsabile della parola. Infine, qualitativamente superiore a Nefesh e Ruah, la Neshamà, è la sorgente dell’attività intellettuale.
La teoria della creazione del Golem conosce un nuovo risveglio di interesse negli autori ebrei e cristiani del Rinascimento. Per Yohanan ben Isaac Alemanno le possibilità creatrici delle lettere non sono soltanto di competenza dei poteri magici che i sapienti si trasmettono. Esse risultano anche dalla possibilità, per il mistico, di accedere ad una visione profetica degli archetipi del mondo superiore e di poter utilizzare queste conoscenze. Il misticismo è presentato come una tappa che precede l’atto magico, considerato quest’ultimo come il summum delle capacità umane. Le lettere destinate alla creazione del Golem non sono per Alemanno altro che dei sigilli o talismani atti a ricevere le emanazioni del mondo superiore. La creazione del Golem è, per questo autore indipendente da un substrato materiale. Il substrato della forma è determinato dalla cristallizzazione delle combinazioni specifiche di forze astrali sulle quali discende una forma proveniente dal mondo sopra astrale.
Il concetto ebraico della creazione del Golem può indubbiamente avere influenzato l’emergere, nel mondo degli alchimisti cristiani, del concetto dell’homunculus come viene definito da Paracelso. Tuttavia in campo cristiano, diverso è l’approccio teorico e metodologico. L’homunculus prende origine dalla putrefazione dello sperma umano mescolato con il sangue mestruale, il Golem da argilla, acqua e polvere. L’alchimia linguistica sostituisce in campo ebraico l’alchimia metallurgica e organica. Secondo il grande cabalista di Safed, Mosè Cordovero (1522-1570) non è possibile attirare nel Golem neppure l’anima inferiore, il Nefesh e a maggior ragione lo spirito (Ruach) e l’anima superiore (Neshamà). Tuttavia non è certamente sfuggito a Cordovero che, l’antropoide creato da Ravà, era capace di movimento: “e lo inviò a rabbi Zairà”, come è scritto in Sanhedrin. Secondo una suggestiva ipotesi elaborata da Sholem, poiché nessun potere spirituale veniva dall’alto, se ne doveva concludere che sono le forze telluriche insite nella materia costitutiva del Golem quelle capaci di animarlo. Tuttavia molti dei concetti espressi da Cordovero si oppongono all’ipotesi di Sholem. A differenza della luce superiore, che rappresenta la vitalità e che investe l’universo intero e quindi anche il mondo animale, le facoltà spirituali dell’uomo derivano da Sefirot specifiche che possono essere captate solo dalla materia costituente l’uomo. Quanto più la struttura dell’essere è complessa e quindi più elevata la sua posizione nella catena dei viventi, tanto maggiore sarà la luce che si rifletterà su di lui. L’uomo artificiale, per la sua complessità, anche se è in realtà un simulacro della figura umana, riceverà una quantità maggiore di “luce” e conseguentemente le sue capacità saranno di gran lunga superiori a quelle degli animali.
E veniamo infine alle leggende della creazione del Golem da parte di figure storiche dell’età moderna. La prima testimonianza della creazione di un antropoide da parte di Rabbi Eliahou di Helm detto Baal-ha-shem (il padrone del nome) viene da ambienti cristiani ed è datata 1674, circa cento anni dopo la morte di questo celebre rabbino. In questa prima versione dei fatti, il rabbino fa morire la propria creatura togliendole la parola emet (verità) che lo aveva vivificato, ma non viene data nessuna spiegazione del suo comportamento. Solo in scritti successivi, i suoi discendenti sono più espliciti; Rabbi Eliahou avrebbe tolto la vita al Golem che egli usava come servitore, nel timore che divenisse pericoloso, perché nel tempo cresceva in dimensioni e in forza.
Secondo un responso rabbinico posteriore, il pericolo era cosmico: la crescita incontrollabile dell’antropoide avrebbe distrutto il mondo.
La tradizione più conosciuta è tuttavia quella che attribuisce la creazione del Golem al Maharal di Praga, Rabbi Loew (1525-1609), contemporaneo di Rabbi Eliahou di Helm. Si tratta però di una leggenda tardiva che si è diffusa ai primi del 1900 ad opera di Judel Rosenberg (Nifla’ot Maharal’im haGolem). Le fonti su cui si basa sono un manoscritto della biblioteca di Metz scritto, a suo dire, dal genero che era stato anche uno dei due assistenti che avrebbero aiutato Rabbi Loew nella creazione del Golem. Tale manoscritto sarebbe andato in seguito distrutto. Altri manoscritti “trovati” da Rosenberg e da lui pubblicati si sono rivelati dei falsi.
Nonostante tutto, questa leggenda ha continuato a diffondersi e ad ispirare nel 1900 romanzieri, drammaturghi e musicisti: Meyerink (Der Golem), Lothar (Der Golem, Phantasien und Historien), Holitscher (Drama der Golem), Hess (Der Rabbiner von Prag) e Acheron (Golem Suite).
Del resto, la stessa atmosfera magica che si respira per le strade e le sinagoghe della vecchia Praga rende credibile, anche se non corrispondente alla realtà, questa leggenda.
Nel 1945, a Bologna un sopravvissuto alla Shoà, nativo di Praga e che si proclamava libero pensatore, ha raccontato ad un soldato della brigata ebraica, che i tedeschi, occupata Praga, avevano deciso di distruggere la Altneushul, l’antica e celebre Sinagoga di Praga. Penetrati al suo interno stavano per mettere in atto il loro piano quando, nel silenzio, si udì il passo di un gigante che camminava nel sottotetto e allo stesso tempo apparve l’ombra di una mano gigantesca che si estendeva dalle finestre al pavimento. Terrificati, i tedeschi gettarono i loro strumenti di distruzione e fuggirono…
Note:
1 – Midrashim – Dal verbo darash (ricercare, dedurre). I diversi midrashim, compilati nei primi secoli dell’era volgare si sforzano di delucidare i diversi versetti della Torà, sia dal punto di vista delle norme comportamentali (Midrash Halakhà), sia dal punto di vista narrativo e omiletico (Midrash Aggadà).
2 – Talmud – Insegnamento. Il complesso costituito fondamentalmente da Mishnà e Ghemarà. Ne esistono due versioni: il Talmud Yerushalmì, redatto in Palestina e il Talmud Bavlì molto più ampio e redatto a Babilonia.
3 – Sanhedrin – Trattato dell’ordine Nezikin della Mishnà.
4 – Sefer Yetsirà – Libro della formazione. Di incerta collocazione storica (III-VI° sec. E.V.). E’ un’opera cosmologica ermetica basata sulla emanazione dalla sfera divina dei dieci numeri primordiali (Sephirot) e delle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico che, nel complesso, rappresentano le forze fondamentali e gli strumenti della creazione. Hilkhot Yetsirà è probabilmente
un secondo modo di definire il Sefer Yetsirà.
5 – Gaon, Gheonim – Capo di accademia nel periodo post-talmudico. In seguito titolo di rispetto per un grande dotto.
6 – Amoraim – Titolo dei dotti ebrei in terra di Israele e in Babilonia, redattori della Gemarà (III°-VI° sec. E.V.) che è da considerare come un commento o una integrazione della Mishnà. Gemarà e Mishnà costituiscono il Talmud.
7 – Notariqòn – Interpretazione delle lettere di una parola come abbreviazioni di intere frasi. Assieme alla Gematrià che attribuisce ad ogni lettera dell’alfabeto componente una parola un valore numerico e ne ricerca l’analogia in altre parole o frasi aventi lo stesso valore numerico e alla Temurà, sostituzione di lettere delle parole con altre secondo regole definite, costituisce una delle tre vie utilizzate dai cabalisti per l’accesso ai segreti della cosmologia e della teologia.
8 – Targum – Traduzione. Indica specialmente la traduzione aramaica della Torà di cui la più conosciuta è quella del II° secolo E.V. eseguita da Onkelos (Targum Yerushalmì).
9 – Hassidim – Pii. Qui riferiti ad un movimento caratterizzato da una forte componente mistica e dal rigore morale che si manifestò nella Germania medievale.
10 – Cabalà – Tradizione. Corrente mistica ebraica che, pur fondando le proprie radici in un passato molto antico si sviluppa e fiorisce a partire dal XII° secolo E.V. Essa prende in esame sia i rapporti tra il mondo soprannaturale e il mondo dei viventi (Cabalà speculativa) sia i mezzi che consentono di strappare a quel mondo spirituale delle forze che possono agire sul nostro orizzonte (Cabalà pratica).
11 – Cabalà estatica – Corrente di pensiero di cui l’esponente principale deve essere considerato Abraham Abulafià e che si propone di giungere ad una visione profetica attraverso pratiche che portano all’estasi.
12 – Sefirà, Sefirot – Da mispar (numero). Termine usato nella Cabalà per indicare i dieci gradi diversi della manifestazione del Divino che si susseguono e procedono l’uno dall’altro. Nell’assieme costituiscono l’albero dell’emanazione detto anche albero sefirotico.
13 – Hesed – Amore. Corrisponde alla Sefirà Gedullà (grandezza).
14 -Din – Giudizio, rigore. Corrisponde alla Sefirà Gevurà (potere).
15 – Sefer ha Bahir – Libro della chiarezza. Opera cabalistica del XIII° secolo.
Riferimenti bibliografici:
Idel M.- Le Golem. Cerf, Paris, 1992.
Katz Y.- The magical and neoplatonic interpretation of the Kabalah in the renaissance. In: Coopermann B.D. Jewish thought in the sixteenth century, Cambridge, Mass., 1983.
Pagel W.- Paracelsus. An introduction to philosophical medicine in the era of the reinassance. Karger, Basel, 1982.
Scholem G.- La Cabala, Ed. Mediterranee, Roma, 1989.
Scholem G.- On the Kabalah and its symbolism, New York, 1969.
Scholem G.- The idea of the Golem, In: On the Kabalah and its symbolic, New York, Schocken, 1987.
Sefer Yezirah (Il libro della Creazione). Ed. Carucci, Roma, 1988.
Germano Salvatorelli, dottore in Medicina e chirurgia, professore ordinario di Istologia presso l’Università degli studi di Ferrara.