Gheshe Lobsang Sherab
Nato a Giethang, nell’Himalaya orientale, Gheshe Lobsang Sherab ha conseguito l’ambito titolo di Gheshe Larampa, che rappresenta il massimo titolo di studio conferito dalle università monastiche tibetane. Poi ha studiato presso il monastero tantrico di Ghyume, sotto la guida di Rinpoce Gheshe Jampel Ciöta. Nel 1998 è giunto a Roma presso l’Istituto Samantabhadra, da cui è stato inviato a Zogno (Bergamo) per avviare il Centro Gajang Jangciub.Il Ven.Gheshe Lobsang Sherab è un carissimo amico di Basanisi Domenico.
Le Quattro Nobili Verità
Una volta raggiunta l’illuminazione, il Buddha storico iniziò a dare insegnamenti, e il primo fu quello concernente le quattro nobili verità. Per quale ragione fu questo il primo tema a cui si dedicò? La risposta a questa domanda si trova nei Sutra. Per quanto illuminato, il Buddha non poteva cancellare le sofferenze di tutti gli esseri, così come si lava lo sporco da un indumento. E pur vedendo il dolore degli esseri senzienti, verso cui nutriva un amore compassionevole, non gli era possibile eliminarlo, come si estrae una spina dal piede. Inoltre, nonostante che per molte vite passate avesse praticato le sei perfezioni (paramita), accumulando virtù e qualità corrette, non poteva regalare la sua felicità, e neppure instillarla nella mente di chi ne era privo. Si domandò quindi: “Se non posso eliminare le sofferenze degli esseri senzienti e donare loro la mia felicità, cosa farò mai dell’illuminazione che ho ottenuto?”. Comprese allora che avrebbe potuto beneficiare gli esseri attraverso l’insegnamento, mettendoli in condizione di liberarsi essi stessi, mediante la pratica, dalle sofferenze.
Il tema delle quattro nobili verità rappresenta il cuore dell’insegnamento del Buddha e la radice di tutto il sentiero spirituale.
Il termine Tibetano con cui si rende il concetto di ‘verità’, bden-pa, non va inteso in senso assoluto, giacché esistono diverse interpretazioni della verità. Ecco perché nel Buddhismo Tibetano si parla, da differenti punti di vista, di due, di quattro o anche di sedici verità.
Definiamo brevemente le due verità, in altre parole la verità convenzionale e la verità ultima. Una cosa è vera, quando il nostro modo di percepirla coincide perfettamente con il suo vero modo di essere. Se invece il vero modo di essere di una cosa e il nostro modo di percepirla non coincidono, abbiamo una percezione distorta. Non dobbiamo farci sfuggire quest’aspetto: la nostra mente tende ad aggiungere, attribuire e proiettare qualità corrette o negative che le cose non possiedono realmente, e a causa di queste valutazioni soggettive nascono numerosi problemi. Se due persone osservano un vaso, a una piace, all’altra no. Ciò succede perché il modo in cui l’immagine del vaso viene percepita dalle due persone non coincide con il vero modo di essere del vaso. Se l’apparenza del vaso coincidesse perfettamente con il suo vero modo di esistere, svanirebbero tutti i disaccordi e i litigi dovuti a impressioni personali contrastanti. Nella maggior parte dei casi, le nostre percezioni del mondo esterno sono distorte.
Un’altra classificazione individua invece quattro verità (le quattro nobili verità), che si suddividono in due gruppi. Le prime due hanno un rapporto di causa ed effetto in relazione ad uno stato mentale disturbato (dai difetti mentali e dalle emozioni perturbatrici). Le seconde due presentano sempre un rapporto di causa ed effetto, ma in relazione ad una mente purificata.
Indipendentemente dall’età, dal sesso e dal colore della pelle, tutti perseguono continuamente la felicità e rifiutiamo la sofferenza. Si tratta senza dubbio di un comportamento condiviso. Eppure, per quanto cerchiamo di respingerla, la sofferenza è sempre presente. Questa analisi ci porta alla prima nobile verità, la presenza del dolore. La seconda nobile verità concerne invece l’origine e la causa del dolore. Ma qual è la natura della felicità cui tutti aneliamo? Non è la felicità effimera dell’oggi, bensì una condizione stabile, duratura ed inesauribile. Una felicità di questo tipo ipoteticamente esiste, e s’identifica con la terza nobile verità, mentre la causa che la fa maturare – il sentiero spirituale – costituisce la quarta nobile verità.
Dopo che il Buddha ebbe parlato delle quattro nobili verità, gli yogi, i mahasiddha ed il Buddha Maitreya fornirono ulteriori contributi interpretativi, in alcuni commentari. Nell’Abhisamayalamkara, ad esempio, le quattro nobili verità sono presentate in quest’ordine: le cause del dolore, l’antidoto (il sentiero) per eliminare le cause, il dolore ed infine l’eliminazione del dolore.
Leggermente differente è l’interpretazione proposta nell’Uttaratantra: partendo dall’esperienza concreta dell’individuo, il dolore è messo al primo posto, giacché la prima cosa che percepiamo è la nostra infelicità. È essenziale che gli esseri senzienti riconoscano la propria sofferenza e n’acquisiscano la consapevolezza: a nessuno piacciono le sofferenze della nascita, della malattia, della vecchiaia e della morte, ma esse ci accompagnano da un tempo senza inizio.
In realtà non ne siamo sufficientemente consapevoli. Ben di rado ci siamo interessati a problemi profondi di questo tipo, nel tentativo di risolverli o di scoprirne le cause. Non ci mancano certo la saggezza, l’intelligenza e la capacità d’analisi, invece di utilizzare queste potenzialità abbiamo finora sprecato il nostro tempo.
A differenza degli animali, gli uomini possiedono un’intelligenza discriminativa grazie a cui conoscere la natura della sofferenza e la sua origine. Il primo passaggio consiste dunque nel prendere atto della sofferenza, il secondo nel comprenderne le cause. Se ritenessimo che le sofferenze maturano su di noi senza una ragione e senza un’origine, potremmo concludere che chi nasce infelice rimane tale per tutta la vita, in quanto vittima di un’infelicità immodificabile e permanente. Di fatto, invece, esiste una continua alternanza: ora siamo felici, poi infelici e di nuovo felici. Da dove nasce questo continuo cambiamento? Possiamo darci tante risposte diverse e attribuire la colpa a vari fattori, ma ad un certo punto, affrontando un’analisi più profonda, riusciremo a renderci conto che l’origine di tutte le esperienze di felicità e dolore risiedono nei nostri stati mentali disturbati.
Dopo aver stabilito l’origine della sofferenza, ricerchiamo il metodo (antidoto) per eliminare e purificare il dolore. Quel metodo, chiamato sentiero o pratica meditativa, costituisce la terza nobile verità. Si tratterà poi di verificare se l’origine del dolore sia eliminabile o No. Quando riusciremo a stabilire con certezza la possibilità di porre fine al dolore e alle sue cause, arriveremo allo stato di cessazione della sofferenza, che rappresenta la quarta nobile verità. Attraverso la pratica potremo quindi attuare l’eliminazione del dolore e della sua origine. L’intero insegnamento del lam-rim (il sentiero graduale verso l’illuminazione) deriva proprio da questo concetto.