Il concetto del “sacro” nelle culture delle popolazioni aborigene del Nord America. Gennaio 2011
Ci fu, c’è, e ci sarà Wakan Tanka, il Grande Mistero. Egli è uno solo, e tuttavia è molti. Egli è il Dio capo, il Grande spirito, il Creatore e l’esecutore. Egli è, sia gli Dèi superiori ed Aggiunti e i Parenti degli Dèi, sia i Subordinati e i simili-a-Dèi. Egli è gli Dèi buoni e gli Dèi cattivi, è il visibile e l’invisibile, il fisico e l’immateriale, perché è tutto quanto, in uno solo. Gli Dèi non hanno inizio e non avranno fine. Alcuni sono prima di altri; alcuni sono imparentati come padre e figlio. Tuttavia gli Dèi non hanno né padre né madre, perché tutto ciò che nasce morrà. Dato che gli Dèi furono creati senza essere nati, non morranno. L’umanità non può capire pienamente questi concetti, perché essi appartengono al Grande Mistero.
Se fosse stata tramandata in opere scritte, piuttosto che trasmessa oralmente di generazione in generazione, la precedente esposizione richiamerebbe forse passi della Bibbia, del Corano o del Mahabharata. Infatti il concetto di un Dio solo, incarnato nel grande mistero e dotato di molteplici manifestazioni, è basilare nella filosofia spirituale delle Culture Amerindie. Per essi, l’accettazione riverente del giusto posto dell’uomo nell’universo, presupponeva la comprensione dell’universo stesso. La comprensione e l’interpretazione delle forze naturali divennero la scienza del vivere, essenziale alla più autentica esistenza dell’uomo. Più profonda ed in armonia era la comprensione, più sincero era il comportamento di una persona, più sicuro il suo adattamento. Presso i popoli aborigeni del Nord America, questa ricerca della comprensione era un concetto nazionale. Esso non sfociava nello scetticismo, ma portava allo sviluppo di una fede altamente sistematica nelle forze universali e soprannaturali. La scienza e la spiritualità non erano scisse: erano una sola cosa. L’Esplicito riconoscimento che questi concetti non rispondevano pienamente a tutti i problemi che la curiosità e la meraviglia dell’uomo erano in grado di porre, il fatto che certe verità fossero al di là dell’umana comprensione e dovessero essere accettate per fede, dimostra la maturità del pensiero delle varie etnie indigene e la sottigliezza della loro “teologia e spiritualità”. Per questi “filosofi intuitivi”, i controllori dell’universo erano l’universo stesso, Wakan tanka (inteso come Dio, la cui traduzione si può riferire come: il grande mistero) in quanto forza creatrice che tutto pervadeva, era la divinità più importante – della nazione Lakota – Sioux. Si affiancava a ciò una cosmologia così omnicomprensiva, che racchiudeva i bisogni emozionali e fisici dell’umanità intera in stretto rapporto al suo ambiente, conferendo ai diversi Popoli del Nord America una struttura dentro la quale potevano svolgere la loro attività con un certo senso di sicurezza pur in un mondo insicuro. In quanto visibili ed invisibili, materiali ed immateriali, umani ed anche animali, gli dèi incarnavano tutte le manifestazioni della natura. Non c’era contraddizione in questa idea che le “dèità” potessero essere rappresentate come forza, come oggetto, e come essere. Il meraviglioso potere dei Controllori era di tutte le cose ed in tutte le cose. L’uomo, pure lui, era una parte integrante e funzionale. Pertanto un uomo, che possedeva le qualità degli Dèi, e cioè, uno spirito, un anima, una spiritualità e la Potenza, era egli stesso strettamente legato al Grande Mistero. Il fatto che gli dèi stessi assumessero attributi umani, comprese le debolezze umane, comprovava la relazione dell’Universo nei suoi vari aspetti attraverso una parabola. Per i Nativi Americani qualsiasi concetto che negasse o minimizzasse la coesione di questo universo sarebbe stato tanto ingenuo quanto irreale.
Per molte e complesse ragioni non è stato facile, e forse mai lo sarà, per l’uomo bianco comprendere la spiritualità dei Nativi. Tutta la loro vita era incentrata sull’aspetto spirituale. Non vi era niente, dalle azioni dei singoli, a quelle del gruppo, che non fossero precedute da una preghiera, da un ringraziamento e da una offerta; restituivano sempre una parte di tutto ciò che ricevevano e non prendevano mai senza rendere.
Anche il loro accampamento rispecchiava chiaramente la loro filosofia di vita in quanto il campo era disposto circolarmente e con l’entrata rivolta ad est, perchè circolare è la vita dell’uomo, sferico è lo stesso universo, rotondo è il linguaggio, e le stesse età dell’uomo si susseguono in modo circolare.
Ogni nuovo giorno era celebrato come la manifestazione di un evento sacro. Nessun cibo veniva consumato prima di aver ringraziato tramite una offerta ed una preghiera “wopyla”(cioè un ringraziamento in lingua lakota), ciò poteva essere preceduto da una purificazione con erbe sacre quali la salvia, l’erba dolce (erba ierocloe), il ginepro, il cedro e spesso si eseguiva anche un sacro rito di sudorazione.
Tutte le attività erano precedute da una preghiera. Talvolta, quando l’evento riusciva positivamente, ulteriori offerte erano fatte con tabacco ed anche con del cibo. Questo ringraziamento era indirizzato al “grande antenato”(Il grande antenato era ed è chiamato in lingua Lakota “ Tunkasila”), esso rappresentava l’origine del tutto ed a tutte le forme di vita che avevano aiutato nell’intento. Per i Nativi esisteva una energia superiore che ha creato tutto in un ordine ben preciso. In questo “tutto” era inserito anche l’uomo, intorno al quale tutto è impregnato dello “spirito” di “colui che è grande-immenso”. Per ciò tutto è sacro, dal ramo dell’albero alla foglia al sasso all’acqua alla terra a ciò che in essa vive. Così è anche per le altre “nazioni” con le quali parliamo e viviamo nel pieno rispetto reciproco. Ciò è la base della spiritualità dei Nativi, ecco quindi che l’utilizzo di ogni cosa che fa parte del nostro habitat deve essere appunto presa con “sacralità” comprendendo che essa rappresenta per noi un dono che il “gande- antenato” e Wakan-Tanka ci hanno messo a disposizione. Nella filosofia dei Nativi ogni decorazione personale costruita con parti di animali aveva un particolare potere e cioè essa non era come per i bianchi un semplice trofeo da mostrare come per dire… “guardate come sono stato forte e coraggioso ad uccidere questo animale…”, per poi impagliarlo e continuare a mostrarlo come prova della propria bravura. Per i Nativi ogni essere vivente e forma di vita contribuisce al sacro cerchio della vita, anche noi un giorno saremo il nutrimento per altre forme di vita. Cacciare un “animale” era, per i Nativi, solamente una necessità di vita, non un gioco od un divertimento, e non serviva per sopraffare o torturare altri esseri. Sempre dopo aver tolto una vita, una preghiera veniva offerta a quello spirito che aveva dato sé stesso per un’altra vita. Le parti di questo animale ucciso entravano a far parte della vita del cacciatore, lui continuava a vivere grazie ad esse, con le parti mortali degli “animali” cacciati venivano realizzate acconciature sacre utilizzate durante le danze e nelle preghiere. Con esse, il cacciatore, pregava di poter proseguire la sua vita continuando a cacciare per procurare a se ed ai suoi familiari di che vivere, per le vesti, per gli utensili, le armi etc. Il mimare, da parte dei Nativi, le movenze e gli atteggiamenti degli altri esseri viventi indicava non solo una forma di “richiesta di aiuto” ma anche una diretta trasmissione di qualità che avrebbero sicuramente aiutato il guerriero ed il cacciatore.
I Nativi ritenevano che il ripetere artificialmente un determinato evento, accompagnato da preghiere, avrebbe causato l’evento stesso.
Tendenzialmente tutti i Nativi riconoscevano nel sole la forma di energia espressione di potenza creatrice che chiamarono in vario modo: per i Crows il nome era “colui che per primo fece” – I Pawnees lo nominarono “TI-RA-WA.”- Per i Lakota: “il grande sacro – Wakan Tanka”- Per gli Arapaho “l’uomo che vive sopra”.
Altre espressioni di questa forza ed energia creatrice erano: la madre terra, la luna, le stelle, i venti, in genere subordinati a questi vi erano poi tutte quelle manifestazioni del mondo naturale che per i Nativi divenivano un modo di esprimere e di voler trasmettere un messaggio da parte di questa immensa energia creatrice.
Alcune Nazioni non hanno una storia esatta della creazione, altre hanno delle teorie ben specifiche e dettagliate. La mitologia e la filosofia si intrecciano con le antiche storie ed il tutto forma quel che è la spiritualità; il sole generalmente viene visto come un essere maschile, il quale compie un viaggio giornaliero da est ad ovest, per poi entrare nella sua capanna per trascorrervi la notte. La tenda del sole è situata oltre il grande mare, in un luogo incantevole, le pareti della sua tenda sono piene di figure dipinte di strani “animali di medicina”, e da un tripode pendono fagotti di medicina e meravigliose armi. La luna (femminino sacro per eccellenza), è la moglie del sole, e secondo la tradizione dei “Piedi neri” vicino alla luna vive la “stella del mattino” (cioè venere) che è la figlia del sole e della luna.
Fra i Pawnees ed altre nazioni la stella del mattino è la protettrice dei verdi pascoli e delle piantagioni alcune stelle sono viste come uomini che lasciano le loro tende per fare dei viaggi notturni.
I Nativi delle pianure credevano, (come i bianchi prima di Galileo), che la terra fosse piatta. Essa è madre perchè produce per i suoi figli, gli uomini, ciò di cui essi hanno bisogno: frutta, cereali, verdure, e su di essa vivono le altre nazioni ugualmente importanti per la vita: i bisonti, i cervi, i castori etc.
Il tuono era una espressione della natura, che poteva indurre timore ed allo stesso tempo riverenza, generalmente descritto come un gigantesco uccello che vola con gli occhi chiusi e quando li apre genera lampi, il tuono era il suo battito delle ali per alcune tribù, mentre altre credono sia il suo richiamo. Particolari erano le cerimonie in suo onore, perchè egli porta con sé l’acqua che fa vivere le piante e tutti gli esseri.
L’inverno è prodotto da “colui che fa il freddo”. Alcune tribù lo chiamano l’uomo dell’inverno, e lo rispettano come un vecchio uomo bianco come la neve che arriva dal nord sul dorso di un fiero cavallo bianco nel mezzo ad un ciclone di vento freddo e al suo passaggio freddo, neve e ghiaccio vengono sparsi, mentre con l’arrivo della primavera, il sole lo spinge a tornare nel nord.
Il vento può essere solo sentito e non visto, esso trasporta le parole del “grande mistero”. I Piedi Neri ritengono che sia prodotto da un gigantesco animale che vive in cima alle alte montagne e muove i suoi orecchi avanti ed indietro.
Per i Nativi anche sott’acqua vivono entità di vario genere, alcune positive, altre negative. Talvolta il grande uccello del tuono cattura con i suoi possenti artigli alcune di queste creature che poi muoiono ai bordi dei fiumi pietrificandosi ed assumendo la caratteristica di formazioni rocciose dalle “strane sembianze”.
Spesso gli spiriti dei guerrieri morti che sono stati privati del loro “scalpo” tornano là dove hanno vissuto e la loro presenza atterrisce tutti gli uomini.
Il mondo animale viene tenuto in enorme considerazione, come sopra precisato. Se un uomo o una donna avevano una visione di un animale, si svolgeva una attenta ricerca e studio di esso, per capirne e poi imitarne le movenze, le abitudini, le difese e come fosse capace di proteggersi e di attaccare. Quindi si cercava di stilizzarlo negli oggetti posseduti come negli scudi, nei disegni sopra le tende, sui vestiti, adornando le armi con alcune parti mortali di questi esseri, nella convinzione di ottenere il loro stesso potere assieme alle altre qualità.
Il bisonte, certamente, era in cima a tutte le creature viventi, il sacro “TA-TANKA”(In lingua Lakota la femmina del Bisonte era ed è tutt’oggi chiamata “ Pte-Oyate).
I piedi neri chiamavano il bisonte “NI-ài” che significa “la mia ombra e la mia protezione”, ed in genere tutti i Nativi delle praterie rivolgevano particolari preghiere al più maestoso degli esseri viventi della prateria.
In molte delle sacre cerimonie veniva infatti usato il teschio del bisonte, rivolgendogli particolari preghiere affinché la sua presenza potesse sempre soddisfare i bisogni del Popolo.
Anche l’orso era considerato con particolare sacralità, perchè ritenuto capace non solo di difendersi coraggiosamente ma anche di essere particolarmente bravo nel “sentire” l’avvicinarsi di situazioni pericolose od anche meteorologiche. Esso inoltre aveva la conoscenza delle sacre “erbe”, infatti se ferito sapeva scegliere particolari bacche o altri medicamenti, naturali capaci di guarirlo.
Poteva trasmettere queste qualità a tutti coloro che voleva aiutare, e spesso aiutava nelle difficoltà coloro che riteneva suoi amici. Tutti i Nativi avevano un profondo rispetto e riverenza verso questo essere.
Il lupo era l’esempio della capacità guerriera, ogni scout indossava la sua pelliccia e nel linguaggio dei segni per indicare uno scout si faceva il segno del lupo; questo animale era altamente rispettato e considerato alleato. Talvolta egli poteva parlare ai suoi amici, dicendo loro cosa sarebbe successo, e poteva anche dare informazioni sui nemici.
L’aquila, il falco e la civetta, erano l’espressione del coraggio necessario in battaglia ed a tale fine erano sempre rivolte le preghiere; il corvo era un volatile dalle grandi capacità di lungimiranza ed anch’esso, se voleva, poteva parlare avvisando di un eventuale pericolo immediato e dava talvolta, preziosi consigli in battaglia.
Anche gli uccelli acquatici avevano particolari poteri, essendo considerati messaggeri di quelle creature che vivevano sott’acqua, tra i piedi neri spesso nei fagotti di medicina erano contenuti parti di questi uccelli acquatici.
Tra gli insetti, grande importanza era dedicata ai ragni, perchè considerati molto operosi e intelligenti, anche la farfalla era portatrice di messaggi, in special modo sogni e visioni ed era il simbolo della agilità e dell’eleganza.
Il ruolo degli anziani, spesso era quello di raccontare antiche leggende attorno al fuoco, e ciò diveniva quasi un rito. Sia i giovani che gli adulti, ascoltavano con attenzione le parole di quei vecchi saggi che, così facendo, tramandavano la storia mischiando realtà, storia e leggenda.
In questi momenti alcuni elementi simbolici svolgevano un ruolo fondamentale: il cerchio e la sacra pipa.
Il cerchio, come il perimetro del tipi o della tenda “sudatoria” o del cerchio entro al quale danzavano i Nativi, rappresentava l’universo, e lo spazio esterno al cerchio era il luogo dove aveva dimora la grande energia creatrice, così come il muoversi in senso orario, e cioè seguendo il movimento del sole, era praticamente in uso in tutte le tribù di Nativi, talvolta il movimento in senso opposto era eseguito dopo una catastrofe naturale (ad esempio un ciclone) per imitare gli spiriti del tuono che agivano sempre in modo innaturale. Il movimento circolare in senso orario iniziava sempre partendo dal sud perchè è da questo punto che, secondo i Nativi, si origina la vita poi si proseguiva verso ovest che rappresentava l’età giovanile poi verso nord che rappresentava l’età della vecchiaia, quindi verso est che indicava l’età in cui una persona ha chiarito il mistero della vita, per poi tornare là dove ha iniziato, lasciando il proprio corpo e dando inizio ad un’altra forma di vita.
Il sacro cerchio non ha inizio e non ha fine, è come la sacra vita che si genera, ha il suo divenire e cessa per dar inizio ad un’ altra forma e così proseguendo nel sacro ciclo della vita e della morte.
Per quanto riguarda la sacra pipa (In lingua Lakota si chiama “canunpa-wakan”), sarebbe necessaria un’analisi più approfondita, ma qui ne parleremo in termini molto generici: Il tabacco utilizzato veniva spesso mischiato alla corteccia interna del salice o del “sanguinello” creando una profumata mistura chiamata: “kinnikinnik” e presso i Lakota “cansasa”.
Questa mistura non aveva, data la scarsa quantità di tabacco, le dannose proprietà dell’odierno tabacco. Il fumo del tabacco portava in alto le preghiere offerte sino a raggiungere il “grande padre” affinché fossero esaudite. Molte erano le occasioni in cui era fumata la sacra pipa: celebrare un evento, onorare un ospite, allontanare eventi negativi che potevano colpire la famiglia od il campo, o per un congiunto che stava morendo, per una caccia abbondante, per una nascita, per la pace, etc:
Il cannello in legno veniva congiunto col fornello (spesso di catlinite o “pipestone”, una particolare pietra rossa che proviene dal Minnesota) ed allora ecco che la sacra pipa poteva esprimere tutta la sua potenza: allo stesso modo in cui un uomo ed una donna si uniscono dando origine alla vita di un nuovo essere così, l’unione dei due elementi della pipa, creano come una potente “antenna” di trasmissione di preghiera al grande Creatore. A Lui arrivano le preghiere rappresentate dalle offerte di tabacco, e dal “cansasa” che si deposita all’interno del fornello stesso. Ogni piccola quantità di tabacco viene, prima di essere inserita nella pipa, passata sopra il fumo della salvia sacra (qualità botanica conosciuta come artemisia lodoviciana), quando tutto il fornello è stato riempito di tabacco, prima lo si offre ai quattro quadranti dell’universo (partendo sempre da ovest verso est) quindi al cielo e alla terra, poi si fuma. Una volta offerta la pipa ad una persona, questa dovrà essere sempre sincera e le sue parole non dovranno poter mai “far male al cuore” dei presenti, e ciò perchè la verità dovrà essere sempre detta.
Una volta terminato di fumare, le ceneri presenti nel fornello, saranno gettate nel fuoco o deposte su un sacro altare (generalmente una pietra piatta sulla quale vengono bruciate erbe sacre) e le due parti della pipa divise e riposte avvolte in una pelle o in una stoffa. Nessuna donna che sia nel ciclo mestruale potrà avvicinare o toccare la sacra pipa, in quanto in questo periodo la donna è particolarmente sacra, perché si sta purificando in maniera naturale, pertanto la forza della sua sacralità inciderebbe sulla energia della sacra pipa.
Ogni proprietario adornava la sua pipa in modo diverso a seconda delle visioni avute, o delle istruzioni di certi “uomini di medicina” i quali potevano suggerire di adoperare certi colori o certe decorazioni ognuna delle quali aveva un preciso significato non solo estetico ma anche pratico.
Ad esempio, usando parti dell’aquila si voleva rappresentare la forza del sole e del “grande spirito”.
Spesso se un uomo affermava qualcosa che poteva essere messa in discussione, per controllare le sue affermazioni gli veniva offerto di fumare e se egli declinava l’invito, allora nessuno gli avrebbe creduto, solo dopo aver fumato si aveva certezza di ciò che era stato affermato. Se un uomo si disonorava fumando e comunque mentendo, era spesso punito con l’esilio dal campo e con il disonore di tutti.
Il termine “medicina”, spesso veniva utilizzato dai Nativi, quando si voleva far riferimento a fenomeni inspiegabili od a persone che potevano fare cose per tutti inspiegabili. I Nativi che avevano conoscenze di erboristeria e che le utilizzavano per guarire vennero in seguito chiamati dai bianchi “medicine man” per indicare un uomo che aveva qualità di dottore secondo la medicina tradizionale. Quando si usava la parola “medicine” si intendevano le capacità che un soggetto aveva di trasmettere ad un altro soggetto l’energia del creatore, il termine poteva voler dire anche “sacro”. Molti erano i canali attraverso i quali la forza del creatore si poteva trasmettere agli altri esseri e varie erano le categorie di soggetti impegnati in queste pratiche: vi erano “uomini sacri” paragonabili a dei religiosi, vi erano uomini con grandi conoscenze di erboristeria paragonabili ai dottori omeopatici, vi erano capi guerrieri capaci di avere premonizioni che noi potremmo paragonare a dei profeti, e vi erano strumenti sacri attraverso i quali questi soggetti manifestavano le loro doti. Questi strumenti rappresentati fra l’altro anche da “fagotti di medicina” (cioè fagotti fatti di pelle di animale all’interno dei quali vi potevano essere ad esempio ossa di lupo, unghie di orso, ali di civetta, cioè tutte parti di esseri viventi che avevano il compito di infondere tutto il loro potere e qualità al possessore ed a quelli che ne avevano bisogno), sonagli sacri, vestiti sacri che raffiguravano particolari espressioni della forza del creatore come un temporale, un ciclone, il sole etc: tutti questi oggetti, utilizzati da queste popolazioni potrebbero in un certo modo essere paragonati ai paramenti sacri che nella religione cristiana sono quotidianamente usati nelle chiese (paramenti sacri dei sacerdoti con disegni vari, le candele, il sacro calice, l’acqua ed il vino, il sacro crocefisso, l’immagine di Gesù, etc.).
Allo stesso modo i Nativi usavano simbologie simili chiaramente in base alla loro cultura e spiritualità.
L’insegnante Lakota Sicangu Sig. Albert White Hat, spesso durante le sue lezioni racconta l’aneddoto di quando un gesuita, raccolti intorno a se un gruppo di Lakota, chiese loro:… “Sapete chi è Satana… e sapete qual è il suo aspetto?”Allora un Lakota rispose… “padre, se c’è una persona qui che ci può parlare di Lui e descrivercelo, quello puoi essere solo Tu, perchè sei tu che l’hai portato fra noi!” Generalmente quando una persona era malata iniziava la sua preghiera verso il suo “fagotto di medicina” chiedendo aiuto alle forze del creato in parte in esso racchiuse, seguiva poi, se ciò non aveva successo, l’intervento dell’uomo che conosceva l’uso delle sacre erbe, infine, se ciò non era stato utile interveniva l’uomo sacro che aveva il compito di mettere in atto tutti i suoi poteri mediante ulteriori rituali di guarigione.
Tra i Piedi Neri vi era la regola che un uomo sacro non avrebbe mai dovuto rivelare la provenienza dei suoi poteri. L’uomo che conosceva le erbe impartiva ordini precisi al suo “paziente” e regole precise nell’assunzione delle stesse dovevano essere osservate. Non erano mai ammessi spettatori alla pratica di guarigione eseguita dall’uomo sacro, in quanto si pensava che i suoi poteri potevano essere “distratti” da altre presenze. Spesso gli uomini che conoscevano l’uso delle erbe ricevevano questi insegnamenti attraverso visioni, oppure attraverso l’esempio offerto loro da certi animali (come l’orso). Sempre quando veniva recisa una radice od altro, veniva fatta una offerta agli esseri che vivevano nella foresta ed una preghiera di ringraziamento era eseguita nel modo più solenne chiedendo di aiutare l’amico malato.
L’uomo che usava le erbe, a differenza dell’uomo sacro, non indossava vestiti particolarmente elaborati, ma solo un perizoma ed il suo “sonaglio sacro”. Molto elaborate e spesso spettacolari erano le cerimonie che venivano eseguite per guarire un malato.
Gli Shoshoni credevano che le malattie fossero causate da uno spirito o fantasma “cattivo” che entrava nel corpo del soggetto, e quindi la pratica di guarigione in questi casi tendeva a tirar fuori dal corpo del paziente questa entità (con una certa somiglianza alle nostre pratiche esorcistiche).
Non vi erano gerarchie fra i dottori ma solo delle specializzazioni diverse. Spesso l’uomo di “medicina”, a seconda del trattamento che doveva eseguire, si tatuava il corpo con particolari colori fatti di ocre e grasso animale usando disegni diversi a seconda dei casi.
Se l’uomo esperto nell’uso di erbe mediche falliva, allora veniva chiamato l’uomo sacro, il quale, indossando magnifici costumi e compiendo riti molto elaborati, svolgeva la sua pratica di guarigione, cercando di canalizzare l’energia al fine di portare un sollievo o di guarire completamente il malato.
Anche in questo caso, leggende e realtà si intrecciano fra loro, e famose sono state alcune delle lettere dell’artista George Catlin che vide all’opera un “uomo di medicina” in un campo di Piedi Neri, e di lui ne eseguì un bellissimo ritratto.
Molte furono le ricerche e gli studi eseguiti dai ricercatori bianchi per comprendere quale fosse il significato di “male o malattia” secondo i Nativi, e si può concludere dicendo che il male spessissimo veniva interpretato come un corpo estraneo penetrato all’interno del malato e che andava estratto dal corpo del paziente tramite “estirpazione” o “suzione”.
Considerata nella sua totalità, si può dire che la pratica della medicina era decisamente un atto spirituale. Tra i Nativi vi erano tre categorie di persone che potevano occuparsi delle malattie: 1 – erbalisti – 2 – dottori – 3 – uomini sacri, che si consideravano dei canali attraverso i quali, con l’ausilio degli elementi naturali che vivono attorno all’uomo, il “Grande spirito” avrebbe operato la sua guarigione.
Presso alcune tribù, ritrovamenti archeologici attestano che furono anche effettuate piccole “operazioni chirurgiche”.
Sempre affrontando la tematica spirituale, si può dire che mentre per l’uomo bianco una invenzione o scoperta è frutto della sua “inventiva cerebrale”, per i Nativi una scoperta o invenzione non era altro che una rivelazione, avuta tramite visioni e voluta dal “Grande Spirito”, il quale mostrava una via alternativa o nuova, per la soluzione di un problema. Le visioni avevano un ruolo fondamentale nella cultura dei Nativi, in quanto ispiratrici e portatrici di nuove realtà e soluzioni. Spesso in situazioni di pericolo si otteneva aiuto proprio grazie alle “visioni”, le quali suggerivano cosa fare o non fare in situazioni di necessità, ecco quindi che i Nativi si ritiravano spesso in solitudine, digiunando ed in attesa di ricevere un segno o suggerimento, spesso in questo rito era presente una forma di auto sacrificio (ad esempio il taglio di piccoli frammenti di pelle da un braccio, oppure facendosi dei tagli sul corpo) che aveva l’intento di mostrare al “Grande spirito” la propria umiltà ed il bisogno di aiuto. Se un soggetto non riusciva ad ottenere una visione, ciò era sintomo di futura disgrazia, per cui fra quasi tutte le Tribù era frequente l’usanza da parte di chi non era in grado di avere “visioni” di acquistarne alcune da qualcuno più fortunato, dietro un baratto od un pagamento, in tal modo si aveva una sorta di adozione da parte di un soggetto verso un altro.
Anche alcuni “fagotti di medicina” potevano essere ceduti o replicati ad un altro soggetto dietro compenso ed al fine di ottenerne i potenti effetti.
I giovani erano guidati alla loro prima “ricerca di visione” già in giovane età da parte degli anziani e la ricerca era effettuata da uomini e donne, tutte le volte che ve ne era bisogno per qualsiasi problema sociale o personale.
I Lakota, chiamano questo rito “ricerca di visione” oppure “piangere o lamentarsi per ottenere una visione”. Si tratta di un rito che segue ferree regole procedurali, e viene condotto sotto la guida di un “uomo di medicina” che segue costantemente il soggetto nel suo rito, prima della ricerca di visione e subito dopo doveva essere eseguita una “swet lodge” che in lingua lakota si chiama “inipi”, cioè tecnicamente una “sauna”, cioè il rito della purificazione e/o bagno di sudore, il rito della ricerca della visione durava fino ad un massimo di quattro giorni e generalmente il soggetto restava isolato su una collina giorno e notte ed in completo digiuno, usando solo la sacra pipa ed una coperta di pelle di bisonte. Venivano posti quattro pali per delimitare l’area nella quale il soggetto sarebbe rimasto e d ogni palo avrebbe avuto uno dei 4 colori sacri e cioè: il nero per l’ovest, il rosso per il nord, il giallo per l’est, ed il bianco per il sud. E’ essenziale ricordare che questo rito aveva lo scopo di chiamare il “Grande spirito”, che si sarebbe manifestato direttamente o tramite un messaggero. Tutto ciò avveniva per ottenere un aiuto non solo personale ma anche a favore di tutti, si può fare un parallelismo con la storia di Abramo che fu chiamato da Dio sulla montagna per ricevere la sua benedizione ed insegnamento per poi essere a sua volta colui che avrebbe benedetto la sua gente (Genesi 12:1-3.)
Spesso coloro che tornano da “ricerche di visioni” portano messaggi profetici (esempi famosi sono quelli di Cavallo Pazzo – Toro Seduto ed Alce Nero in occasione di particolari momenti).
Quando il soggetto aveva terminato i suoi 4 giorni tornava al campo incontrando solo “l’uomo di medicina” il quale lo conduceva immediatamente nella capanna di sudorazione per poi farsi raccontare la visione avuta, ed interpretarne il significato.
Spesso nelle visioni i guerrieri ricevevano indicazioni circa i colori da usare in battaglia, i disegni o gli esseri che sarebbero stati loro di ausilio quando ne avessero avuto bisogno. Spesso dopo una “ricerca o lamento per la visione” il soggetto era in grado di costruire il suo “fagotto di medicina” con quelle “componenti sacre” che lo avrebbero protetto durante tutta la sua vita (si può ricordare che anche noi nella nostra cultura spesso facciamo ricorso ad amuleti, talismani e porta fortuna in genere per avere protezione o per allontanare negatività).
Anche nella cultura europea ed asiatica, il ricorso a persone che abbiano particolari “poteri” è sempre stato in uso e lo è anche attualmente. Possiamo dire infatti che, questo aspetto, lo si ritrova in quasi tutte le popolazioni del mondo, certamente ognuna con le sue caratteristiche.
Per i Nativi delle pianure, se un soggetto cedeva o permetteva ad un altro soggetto di duplicare il suo “fagotto di medicina”, ciò doveva avvenire seguendo un preciso cerimoniale affinché l’oggetto potesse mantenere e diffondere sempre la sua energia positiva.
Un famoso ricercatore ed archeologo. William Wildschut, asserì che era praticamente impossibile riuscire a dare una spiegazione precisa in termini tecnici dei molteplici usi a cui erano soggetti questi “fagotti di medicina” ed ognuno di essi aveva delle peculiarità singolari mai riscontrabili in altri anche se appartenenti allo stesso gruppo etnico; ciò lo si deve al fatto che questi strumenti spirituali, venivano costruiti in relazione a singole visioni o sogni o messaggi che ogni singola persona riceveva, pertanto sempre diversi gli uni dagli altri, e destinati agli usi più diversi.
Ad ogni modo, per scopi informativi, si può tentare una grande suddivisione di questi “particolari strumenti religiosi”.
FAGOTTI DI MEDICINA USATI NELLA DANZA DEL SOLE: usato nella sacra cerimonia per ottenere visioni, o premonizioni che avrebbero poi aiutato tutto il villaggio in spedizioni di guerra contro i nemici, questo fagotto non era quasi mai portato nelle spedizioni di guerra, ma era quasi sempre lasciato in possesso dell’uomo religioso.
FAGOTTO DI MEDICINA PER LA GUERRA: serviva a far ottenere il successo nelle battaglie e nelle scorrerie di cavalli, il contenuto era strettamente legato alle visioni che il legittimo possessore aveva avuto, si possono considerare sottocategorie il di questo tipo cerchio di medicina e la freccia di medicina.
SCUDI: scudi dipinti e decorati erano costantemente utilizzati non solo come oggetto di protezione durante una battaglia, ma anche come strumento per predire l’esito di una guerra o di qualsiasi altra azione. Erano finemente decorate dipinti, ed esprimevano visioni avute dal possessore o dall’uomo di medicina il quale li costruiva e li consegnava, dietro scambio, ai guerrieri del clan.
FAGOTTI DI MEDICINA COSTRUITI CON TESCHI: il fagotto di medicina in questione era sempre confezionato usando un teschio umano, si avvicinavano ai fagotti usati nella danza del sole per sacralità, ma questi potevano essere usati per molti scopi. Nel 1800 erano ancora numerosi ma poi verso il 1927 gli ultimi esistenti furono seppelliti col loro ultimo possessore, ed i giovani di questo secolo avevano paura di possederli.
FAGOTTI DI MEDICINA CONTENENTI PIETRE SACRE: in essi l’elemento predominante erano certi tipi di pietre che racchiudevano in se particolari proprietà, erano usati specialmente come protezione durante una battaglia.
FAGOTTI DI MEDICINA DELLA PIPA: in essi erano contenuti il cannello e talvolta il fornello della sacra pipa. Tali fagotti venivano utilizzati nella cerimonia della pipa e portati dal leader di battaglia durante le azioni guerriere.
FAGOTTI DI MEDICINA DELL’AMORE: erano confezionati, ed usati per attrarre un soggetto del sesso opposto che si amava ma dal quale non si era ricambiati.
FAGOTTI DI MEDICINA DELLA GUARIGIONE: sopra descritti ed usati per guarire un soggetto ammalato.
FAGOTTI DI MEDICINA PER LA CACCIA: usati per il successo in una spedizione di caccia, spesso erano costituiti da parti di animali della stessa specie che si intendeva cacciare.
Oltre ad essi, ogni guerriero, portava sempre con sé un amuleto personale del quale non si privava mai. Varie potevano essere le forme di questi amuleti ed i relativi contenuti ad esempio: pezzetti di pelle all’interno dei quali era chiusa una piccola pietra, alcune erbe, unghie di orso, piccole piume di volatili, polveri o sabbie od ocre etc.
Questi oggetti, potevano essere portati intorno al collo, sulla testa o sulla schiena. Talvolta si trattava della pelle di un animale particolare come ad esempio: il lupo, l’orso od il bisonte, che assolvevano allo stesso scopo.
Spesso, il guerriero, attaccava questi tipi di ornamento-protezione anche al suo prezioso amico: il cavallo, infatti piume d’aquila, di falco od altri oggetti venivano usati per decorare i finimenti del cavallo quando si doveva andare in guerra od a caccia.
Dobbiamo sempre ricordare che secondo la “filosofia e spiritualità” di questi Popoli, intorno ad ogni uomo, vi sono sempre delle presenze espressione della vita che ci circonda e ad esse ci si può indirizzare per il soddisfacimento di alcuni nostri bisogni spirituali. Quindi il rapporto tra il mondo visibile e concreto e quello invisibile con tutte le sue entità sia positive che negative aveva un ruolo importantissimo nella vita quotidiana dei Nativi.
LA PURIFICAZIONE:
Il rito della purificazione (chiamato dai Lakota: INIPI – oppure onikare – CHE SIGNIFICAVA RINASCERE) era alla base di qualsiasi cerimonia spirituale e di qualsiasi attività quotidiana come la battaglia, la caccia o una scorreria per la cattura di cavalli. Era praticato ogni giorno e non era solo una purificazione corporea ma anche dell’anima.
Per praticare tale rito si costruiva, al limite esterno del villaggio, una specie di “tenda” di forma semisferica, utilizzando 13 pali di salice (talvolta anche in numero maggiore) posti in cerchio di modo che poi piegandone le estremità e congiungendole fra loro si ottenesse una forma ad igloo. Nel mezzo di questa struttura era scavata una piccola buca in terra ed il tutto veniva coperto con pelli di bisonte e successivamente, nei tempi più recenti con coperte. Davanti alla piccola entrata della capanna sudatoria, con la terra che si ricavava dalla buca scavata al centro, si creava una piccola montagna sulla quale era posto generalmente il cranio di un bisonte (questa montagnola rappresenta il nostro pianeta ed il teschio l’essere vivente che per eccellenza permetteva la vita ai Nativi delle pianure: appunto il bisonte). Oltre questa montagnola veniva scavata una buca molto larga e profonda nella quale veniva acceso il fuoco che avrebbe reso incandescenti le pietre usate nel rito.
L’interno della capanna sudatoria, era cosparso di salvia (come detto si tratta della qualità botanica “artemisia lodoviciana”) sacra nei punti in cui ogni partecipante si sarebbe poi seduto formando un semicerchio sempre seguendo il “percorso del sole”. Con questa erba sacra, ognuno si sarebbe strofinato il corpo durante la “sudorazione”. Una volta riscaldate le pietre i partecipanti, guidati da colui che dirige la cerimonia, si disponevano nell’interno, in attesa che colui che “attende alle pietre ed al fuoco” con un bastone forcuto introducesse le prime quattro pietre all’interno sempre da ovest verso est. Una volta poi disposte le prime pietre seguivano le altre da un minimo di 7 fino a 40 o più. Si comprende la grande quantità di calore che si sprigionava assieme a vapore acqueo, quando su di esse era versata dell’acqua fredda, l’intercessore spirituale, che presiedeva il rito della capanna sudatoria, eseguiva generalmente quattro serie di canti sacri e dopo ognuno di questi la porta della capanna veniva aperta facendo entrare aria fresca all’interno. Alla terza preghiera, generalmente veniva fumata la sacra pipa da tutti i partecipanti ed era anche offerta loro dell’acqua da bere o da rovesciarsi sul corpo per ottenere un po’ di refrigerio. L’interno della struttura completamente buio rappresentava per i Lakota il ventre di nostra madre ed in questa simbologia si evidenzia il significato del rito che permette appunto di “Rinascere”, tanto più che all’interno della capanna sono presenti i 4 elementi della vita e cioè: acqua-aria-fuoco-terra.
Con questo rito il Lakota purificava il suo io, si liberava dalle negatività sia fisiche che spirituali, pronto ad affrontare poi nuovamente il mondo esterno con un nuovo approccio, lasciando all’interno della “capanna di sudorazione” tutto ciò che di negativo era stato fino a quel momento accumulato.
Date le grandi difficoltà di sopravvivenza quotidiane che erano una regola nella vita dei Nativi, quando essi volevano ringraziare il “grande spirito” per qualcosa che avevano ottenuto, un semplice grazie non era per loro sufficiente, per questo spesso, per certe forme di riconoscenza era posta in essere una qualche forma di sofferenza fisica personale. Abbastanza frequentemente accadeva che quando un guerriero tornava vincitore da una battaglia o da qualsiasi altra situazione dalla quale avesse avuto un risultato positivo, egli si praticasse sulle braccia o sul petto delle incisioni col coltello, o addirittura offrisse, come ringraziamento, piccoli lembi di carne tagliata dalle gambe o anche dalle braccia.
Anche nella cerimonia della “danza del sole”che sicuramente riveste un’importanza fondamentale tra i Nativi delle pianure, l’auto sacrificio è presente. Questa cerimonia sebbene praticata dalle varie tribù in modo talvolta diverso aveva in comune un significato che deve necessariamente essere capito per non rischiare di fraintendere le singole azioni che si verificano nella cerimonia. Se osserviamo come i Nativi si mettevano e si mettono ancora oggi in rapporto sia con il “grande spirito” (inteso come emanazione di energia positiva che tutto ha creato in perfetta armonia ed equilibrio) sia con tutte le forme del creato, osserviamo che secondo loro l’essere umano, inserito in questa sfera armoniosa anche in relazione all’ambiente circostante, deve sempre ringraziare per tutto ciò che ha a sua disposizione per vivere, per tutti i meravigliosi doni che danno la vita a lui ed ai suoi familiari così come al suo Popolo. Per i Nativi non esiste prendere senza restituire ciò che hanno avuto. Il ringraziare non è solo una frase… “grazie di tutto”, ma deve esternarsi dal soggetto che ringrazia in modo anche materiale, tramite cioè delle azioni concrete. Talvolta agli occhi dello spettatore, azioni anche cruente o violente, che hanno il preciso significato di ridare, tramite la propria sofferenza fisica, solo una parte di tutto ciò che si è ricevuto non solo in termini materiali ma anche come insegnamento di vita,di esperienza, sensazioni, visioni, etc. Senza dubbio durante la Danza del Sole le prime preghiere sono riservate alla “vita” del Popolo (…perché il popolo viva), alla salute dei bimbi malati, degli anziani, delle persone che soffrono o che hanno perso un loro amato, quindi le preghiere scendono ad un livello personale. Il soggetto (che possiamo chiamare “danzatore del sole”) invia le preghiere per la salute dei suoi familiari, di se stesso e così via.
Abbiamo evidenziato precedentemente come nel pensiero e nella “filosofia” dei Nativi tutto abbia aspetto sferico, circolare: tutto si muove seguendo il “naturale movimento del sole e con esso quello del la terra e degli astri”. Anche il luogo dove si svolge la Danza del sole è circolare, costruito con pali in legno tali da formare un perfetto cerchio. Esattamente al centro del cerchio viene scavata una grande buca che rappresenta nostra madre, la terra. All’interno di questa buca verrà successivamente disposto il “Wakachan” cioè il sacro albero di pioppo che rappresenta l’elemento maschile, l’antenna che invierà nell’universo ed al “Grande padre” le nostre sofferenze e le nostre suppliche. Ogni danzatore lega la sua “corda” ai rami alti del pioppo, che rappresenta il cordone ombelicale che un tempo ci legava a nostra madre. Le incisioni che il leader spirituale esegue su ogni danzatore, esattamente all’altezza dei muscoli pettorali, tagliando da una parte all’altra la carne e facendovi scorrere due schegge o in osso o in legno provocano il dolore fisico, accentuato dalla corda che viene fissata a queste schegge. Ogni danzatore con movimenti di tensione cercherà di lacerarsi la carne, liberandosi dalla corda e dalle schegge con enorme dolore fisico. Tale sofferenza è simile a quella che nostra madre un giorno provò per darci il più grande dono: LA VITA.
In questo modo i danzatori restituiscono alla loro madre, la terra, parte di queste sofferenze e del loro sangue, per ringraziare prima di tutto della vita avuta e di tutto ciò che con essa ci è stato e ci sarà dato inoltre il rito intende esprimere l’umiltà che ogni danzatore dimostra, dando in sacrificio ciò che di più prezioso ha: il suo corpo fisico ed il suo sangue, rifacendo in modo simbolico ciò che fu fatto all’inizio della creazione. All’interno del cerchio e per 4 giorni senza mangiare e senza bere. Si danza pregando e sacrificandosi per gli altri, per le sofferenze dei nostri cari, per un mondo migliore.
Questo rito, che assume forme procedurali diverse a secondo delle Tribù, ha sempre un significato comune che è quello descritto.
I Lakota pensavano e pensano, che soffrendo al centro del sacro cerchio, essi assumessero su se stessi tutte le sofferenze della loro gente e che il loro corpo sacrificato rappresentasse l’ignoranza dell’uomo. Pertanto con queste cerimonie cercavano di essere il più umili possibile e di liberarsi da ogni più bassa “negatività”, tutto ciò per il bene del loro Popolo.
La danza del sole si teneva nei mesi estivi – generalmente nel solstizio d’estate – quando la luna era piena, e l’accampamento si riempiva di gioia ed allo stesso tempo di profonda sacralità. Guerrieri e donne indossavano i loro vestiti migliori e talvolta clan diversi si riunivano insieme per celebrare questo importante evento.
Tutti, nei giorni della celebrazione, offrivano i loro doni al sacro albero, pregavano, digiunavano e quotidianamente al mattino ed a sera eseguivano il rito Inipi della purificazione nei 4 giorni della danza ai danzatori non era permesso toccare, usare od avvicinarsi all’acqua.
Ogni danzatore preparava una corona di salvia sacra da portare intorno alla testa durante la danza e delle manopole sia per i polsi che per le caviglie. Ognuno di loro aveva il suo fischietto in osso di aquila che serviva a soffiarci dentro sia per imprimere un certo ritmo, assieme ai tamburi, alla danza, sia per soffiarci dentro nel momento in cui era compiuto il sacrificio, in modo da non emettere nessun lamento vocale.
Quasi sempre, un ventaglio in piume di aquila o di falco, era portato dai danzatori e coloro che non lo possedevano se ne costruivano uno usando lunghi ciuffi di salvia sacra.
Ognuno portava dietro la nuca una o più piume di aquila, talvolta anche erette ai lati della testa ed inserite nella corona di salvia, il leader poteva indossare il suo copricapo di guerra.
Durante le danze si usava colorare i corpi ed i volti dei danzatori nel seguente modo: un cerchio nero intorno al volto rappresentava gli “spiriti”; quattro linee verticali nere che arrivavano al mento simboleggiavano la potenza delle quattro direzioni, alcune linee nere potevano essere dipinte intorno alla vita, ai gomiti e nella parte superiore delle braccia nonché alle caviglie ed esse rappresentavano i legami della “ignoranza terrena” che legano il danzatore alla terra rendendolo schiavo delle negatività umane. Alla fine della cerimonia, coloro che avevano preso parte alla danza del sole, eseguivano generalmente un’altra cerimonia importante che consisteva nel portare ai piedi del sacro albero ed all’interno del cerchio oggetti come coperte, vettovaglie, cibo, giocattoli da distribuire ai poveri, agli anziani ed ai bimbi.
Durante la danza del sole si intrecciavano altre importanti cerimonie come ad esempio quella dell’imparentamento, nella quale un soggetto era accolto nel Tyospaye (famiglia in senso allargato) di un altra persona, oppure venivano dati dei nomi a dei giovani, o venivano ricordati i cari defunti, o si eseguivano delle danze per ringraziare di alcuni eventi positivi avvenuti al Popolo.
Dobbiamo subito ricordare che questa cerimonia fu vietata dal governo degli Stati uniti alla fine del 1800 e solo da 17 anni è stata riammessa nella sua versione originale. Fino a quel momento i Nativi erano costretti a svolgere le loro sacre cerimonie di nascosto dall’uomo bianco in quanto passibili di essere addirittura arrestati!!
Inoltre grandissima importanza era attribuita a canzoni che erano ricevute durante una “visione”. Fra i Piedi Neri l’uomo di medicina era in costante movimento al ritmo di un canto ricevuto durante un sogno o avuto durante una visione.
All’interno di un villaggio, vi erano persone che sapevano abilmente suonare lo strumento tipico dei Nativi delle pianure, cioè il “tamburo”, il numero dei suonatori rispettava il n°4 (cioè le quattro direzioni sacre dell’universo) o talvolta anche il n°7, a loro si aggiungevano persone che cantavano, la loro musicalità è molto diversa da quella Europea basata su 7 note e si può definire “pentatonica”.
L’intento principale di ogni cerimonia spirituale dei Nativi era quello di chiedere l’aiuto “divino” mediante l’intercessione degli esseri “celesti” oltre agli elementi del creato assieme a tutte le forme animate e non presenti sulla terra.
Le cerimonie potevano essere molto semplici, come il fumare la sacra pipa all’interno della propria tenda, oppure molto complesse e coinvolgere tutto il campo ed addirittura tribù o clan vicini, tale aggregazione di persone serviva anche a creare fra i vari gruppi un legame sociale che sorto per motivi di spiritualità, poteva poi svilupparsi anche come legame commerciale e di solidarietà fra villaggi.
LA MORTE E LA VITA DOPO DI ESSA:
I Nativi credevano e credono ancora oggi, all’immortalità dell’anima, credevano e sapevano di un mondo in cui le anime sarebbero andate un giorno, sebbene per i Nativi non fosse comune ne logico trattare soggetti “astratti”.
Molte delle loro leggende e storie trattano infatti di “fantasmi o spiriti”, che vengono dal mondo dell’aldilà. Per alcune tribù questa realtà oltre la vita era rappresentata da verdi pascoli ricchi di selvaggina dove regnava sempre la gioia. Per altre tribù questo aldilà era un luogo particolarmente malinconico dove vi erano le “ombre dei defunti” così pensavano ad esempio i “Grossi ventri” e i “Piedi Neri”.
La persona che moriva diveniva uno spirito, e questo poteva tornare fra i vivi sotto varie sembianze, sempre impalpabili come l’aria. Per alcune tribù le civette erano spiriti che si erano reincarnati. In generale i Nativi ritenevano che se una persona veniva uccisa tagliandole la gola o veniva privato del suo “scalpo”, il suo spirito restava sulla terra a disturbare i vivi; talvolta causando malattie e morte.
Lo spirito di un soggetto al quale non fosse stato tolto lo scalpo era invece libero di iniziare il suo viaggio verso gli eterni pascoli e poteva, se lo voleva, tornare sulla terra.
Sebbene sapessero perfettamente che lo spirito del defunto non poteva portare con se nel viaggio ultraterreno gli oggetti di guerra e di vita quotidiana che gli erano appartenuti; i Nativi erano fermamente convinti che depositando vicino al luogo della sepoltura detti oggetti, una volta che lo spirito avesse raggiunto l’altra dimensione poteva “duplicare e rifare” gli stessi oggetti che erano stati deposti vicino alle sue spoglie mortali, utilizzandoli come “riproduzioni spirituali” per la sua vita eterna.
I sacri cimiteri non erano mai violati dai Nativi appunto per il rispetto e per la paura che essi avevano di queste presenze ultraterrene.
Se un guerriero veniva ucciso e mutilato anche la sua anima aveva le stesse conseguenze cioè risultava “sfigurata”. Per ciò la pratica di togliere lo scalpo o di mutilare o tirare frecce sul corpo del defunto, aveva anche lo scopo di infliggere all’anima del soggetto nemico un perenne tormento.
Tra i Lakota, se una persona moriva si attendeva 24 ore vegliando il corpo del defunto, per assicurarsi che fosse veramente morto, quindi tutti i familiari preparavano il corpo per la sepoltura. Il volto del guerriero era dipinto con i simboli del clan di appartenenza e con i suoi disegni abituali, e gli veniva collocata la piuma d’aquila fra i capelli e vestito con i migliori vestiti, Fra i Mandan e Lakota era abitudine collocare vicino al corpo del defunto il suo arco, le frecce, la sacra pipa, il tabacco, il coltello, lo scudo e tutti quegli oggetti strettamente personali.
Il corpo veniva poi avvolto in una pelle di bisonte (chiamata pelliccia da sepoltura) e dopo in altre pelli bagnate, quindi veniva legato con delle stringhe di cuoio strettissime tutte intorno al corpo, infine il suo miglior cavallo veniva dipinto di rosso ed il corpo del defunto era posto sul “travois” specie di slitta fatta con due lunghe pertiche legate in cima e con altre disposte orizzontalmente sulle prime due in modo da formare come una lettiga) e condotto al luogo di sepoltura.
Si usavano vari metodi di sepoltura, secondo un primo, si costruiva una struttura formata da quattro pali dove poi era collocata una specie di piattaforma di pali di legno sulla quale era deposto il corpo del defunto. Si trattava in sostanza di una specie di palafitta che doveva essere abbastanza alta da non essere raggiunta da uomini o da animali.
Un secondo metodo di sepoltura era simile al primo solo che al posto dei 4 pali si usava un Albero abbastanza alto sui rami del quale era deposto il defunto, praticamente una palafitta naturale.
Questo metodo era più usato dai Nativi del Nord.
In ogni caso, i Nativi, evitavano la sepoltura sotto terra, per far si che il soggetto fosse sempre il più vicino possibile al “Creatore”. Gli Shoshoni e i Kiowa usavano seppellire all’interno di grotte o sotto tumuli di pietre così come era usanza presso le tribù del sud. Dopo la cerimonia generalmente venivano distribuiti gli averi del defunto fra le persone più bisognose del villaggio ed il nome del defunto non era più pronunciato da nessuno sino a che a qualche nuovo nato non venisse dato appunto quel nome.
Le mogli entravano in lutto tagliandosi i capelli corti e “lamentandosi”. Talvolta per la morte del marito o di un figlio potevano anche recidersi la prima falange di un dito della mano, od anche praticarsi tagli nelle gambe o sulla fronte. Generalmente per la durata di un mese andavano su una piccola collina vicino al campo a piangere il defunto ed a praticarsi questo tipo di “auto sacrificio”. La famiglia del defunto veniva visitata dall’uomo sacro il quale cercava di dare conforto per la scomparsa del loro caro.
Tribù non nomadi, avevano cimiteri permanenti, dove potevano essere osservati i crani dei corpi dei defunti. Queste tribù non nomadi deponevano il teschio o cranio del morto in luoghi ben precisi e sacri della prateria formando dei cerchi con questi resti umani, i cerchi che erano protetti in senso spirituale da oggetti sacri posti vicino ad essi ai quali venivano anche aggiunti teschi del sacro bisonte. Questi teschi potevano essere anche dipinti con i colori del clan e con i disegni che il defunto usava in vita.
Spesso questi cerchi di teschi nella prateria erano oggetto di visita da parte dei membri del clan i quali si rivolgevano a loro con preghiere, questa pratica fu completamente abbandonata con l’arrivo ad ovest dell’uomo bianco, il quale, iniziò a rubare questi resti umani per venderli nelle città di frontiera come “souvenir dei selvaggi indiani” a volte venivano addirittura utilizzati come “palle da gioco” e quindi distrutti.
Pertanto anche la pratica della sepoltura ebbe, con l’arrivo dei bianchi, un cambiamento repentino e si dovette ricorrere spesso al sotterramento dei resti mortali dei propri cari.
Di seguito saranno elencati i 7 riti sacri principali del Popolo Lakota:
RITO DELLA SACRA PIPA – **Canumpa Wakan** questo rito sta alla base di tutti i successivi riti spiegati, possiamo dire che esso più che un rito rappresentava e rappresenta oggi, per alcune nazione di Nativi delle pianure una pratica quotidiana di preghiera sulla quale si innestava poi le successive cerimonie descritte; il fornello della pipa rappresenta la nostra madre: terra, il cannello nostro padre, od elemento maschile, questo sacro “strumento” sembra sia stato usato fin dal tempo in cui fu portato tra il popolo Lakota dalla “donna bisonte bianco” la quale spiegò che lo si sarebbe usato in ogni occasione religiosa e quotidianamente per ringraziare di tutto ciò che la vita ci dà.
RITO INIPI: è il sacro rito della purificazione, la capanna sudatoria è sacra, rappresenta l’universo, ed in essa tutto è contenuto, le pietre incandescenti al centro della capanna irrorate con acqua fresca producono vapore purificatore; si prega per il popolo, per i propri cari, per se stessi, ci si purifica dalle negatività terrene, al termine del rito si “rinasce” con animo nuovo e pronto ad affrontare nuovamente le difficoltà quotidiane. Erbe sacre come: salvia, erba dolce, cedro, ginepro vengono utilizzate durante la cerimonia sia bruciate sulle pietre roventi sia “sfregate” sul corpo di ogni partecipante.
RITO ISNATI – AWICALOWAN: è il rito della “pubertà femminile”, la cerimonia – riservata alle giovani donne – celebra il sacro passaggio dalla adolescenza alla età adulta, le giovani donne ricevano istruzioni oltre che dalla madre, dalle zie e dalle nonne anche dalla “donna sacra” che riveste il compito di guida e leader delle giovani fanciulle. Il rito rappresenta anche il veicolo attraverso il quale si crea un “legame spirituale” con Whope cioè “la donna bisonte bianco”.
Il tutto avviene in un particolare tipi preparato appositamente per celebrare la cerimonia.
RITO HAMBLECHEYAPI: cioè “lamentarsi per avere una visione, può anche essere tradotto come : piangere per la visione”. Il rito viene effettuato dai giovani guidati da un uomo di medicina, ed è eseguito per ottenere una visione, per chiarire il significato di un sogno, per chiedere consiglio alle forze superiori in momenti difficili o quando si deve passare da una età giovanile a quella adulta, si sceglie una collina sacra dove il soggetto, sempre sotto l’attenta guida del medicine -man, resta per 4 giorni senza acqua e senza cibo, senza vestiti, solo con la sua sacra pipa ed una pelliccia di bisonte, al termine dei 4 giorni seguirà immediatamente un rito inipi e poi dopo aver fumato la sacra pipa il medicine- man, aiuterà il soggetto ad interpretare e chiarire la visione avuta.
RITO HUNKAYAPI: è la cerimonia dell’imparentamento: con essa è celebrata l’entrata all’interno della famiglia in senso allargato che si chiama “TIOSPAYE” di un nuovo individuo durante la cerimonia sono date al nuovo familiare indicazioni precise dei suoi doveri verso i nuovi membri della sua famiglia, vi è un uomo che guida la cerimonia utilizzando, la sacra pipa, un crine di cavallo, una piuma di aquila, ed “incensando” i partecipanti con salvia sacra, prima della conclusione il nuovo membro ed il capo famiglia dovranno esprimere il loro consenso, dinanzi a tutti, sui nuovi doveri reciproci accettati e dichiarare di accettarsi l’un l’altro.
RITO WIWANG WACHIPI: è il rito della sacra danza del sole, a proposito si rimanda all’ampia spiegazione che abbiamo fatto all’interno di questo scritto.
RITO TAPA WANKA YAP: è il rito del “lancio della palla o sfera”: in questa cerimonia viene utilizzata una palla confezionata con una pelle di bisonte, dentro alla quale sono inseriti peli del bisonte stesso, una giovane ragazza è posta in mezzo al campo sacro e file di persone sono disposte ai 4 punti cardinali: ovest-nord-est-sud. La ragazza lancia la palla a turno in ognuna delle 4 direzioni iniziando sempre da ovest, ed ogni persona nel gruppo afferra la palla offrendola poi ai 4 quadranti dell’universo e poi verso lo “zenit” per poi rilanciarla alla ragazza al centro. Si può dire che la palla rappresenti la forza del “grande spirito” e le 4 squadre di persone le entità dei 4 quadranti dell’universo e del mondo e che afferrando la palla, quindi ciò che essa rappresenta, ovvero il “grande spirito”, afferrano con essa anche la conoscenza.
RITO WANAGI YUHA: è il rito della custodia dell’anima, ormai questo rito è quasi scomparso a causa delle imposizioni del governo di Washington, quando moriva un familiare si tratteneva il suo spirito per un periodo che poteva durare da 6 a 12 mesi. Lo spirito è tenuto dai familiari, fino a quando con un rito appropriato viene reso alla sua origine; i parenti del defunto offrono gran parte dei loro averi ai bisognosi, in memoria del morto. Una ciocca di capelli è tagliata, dall’uomo di medicina, dalla parte frontale della testa del defunto e poi avvolta in pelle o stoffa, viene conservata in modo sacro per 4 giorni. Dopo un periodo, che come detto può variare da 6 mesi a 12 mesi, in un apposito tipi costruito per l’occasione, l’uomo di medicina esegue una cerimonia particolarmente complessa naturalmente usando la sacra pipa: prende dai parenti del defunto il fagotto con i capelli e libera all’esterno lo spirito di “colui che non è più con noi”. Finisce il tempo delle lacrime e i familiari ricorderanno poi con gioia il defunto, in quanto è ormai in un posto lontano dalle disgrazie umane e dalle sofferenze della vita.
Presente nella spiritualità dei Lakota era il “cerchio di medicina”, come abbiamo detto, il cerchio rappresenta la continuità della vita e della morte, non vi è inizio e non vi è fine, il cerchio ha in sé i 4 quadranti dell’universo ognuno dei quali è abbinato ad un colore sacro e ad esso si invia sempre una particolare preghiera.
Possiamo così riassumere il significato dei colori:
OVEST – COLORE ASSOCIATO IL NERO: rappresenta il “grande spirito” nel momento in cui i raggi del sole, la luce scompaiono e con essi, spesso, la vita; l’essere umano deve essere conscio del passare del tempo e della vita assieme ad esso; egli dovrebbe rivedere ogni giornata trascorsa ringraziare per ciò che ha ricevuto e pregare per avere una notte di preparazione ad affrontare la nuova giornata. La preghiera speciale dell’ovest, dove si trova lo spirito del tuono, è: “questa nel momento in cui l’oscurità arriva, noi preghiamo per tutto ciò che abbiamo avuto e per le benedizioni ricevute dal profondo del tuo amore, O grande spirito”.
NORD – COLORE ASSOCIATO IL ROSSO: rappresenta il sorgere del grande spirito di cui il sole è espressione tangibile oltre che portatore della vita. Un nuovo giorno nasce per essere affrontato e porta grandi doni per tutte le creature. La preghiera speciale che viene recitata al quadrante nord dell’universo è la seguente: “Mentre noi preghiamo a te per vederti ed udirti, conduci le nostre vite, O Grande Spirito, e proteggici dalle forze negative. Grazie Grande spirito, per tutti i benefici avuti dalla tua preziosa guida …noi saremmo perduti senza di te…”
EST – COLORE ASSOCIATO IL GIALLO: rappresenta il Grande spirito come forza che fa sbocciare la vita e la natura offrendo all’uomo i doni presenti sulla terra. Il Grande spirito si aspetta dall’uomo che divida con tutti i suoi simili questi preziosi doni che sbocciano e che ringrazi con preghiere e sacrifici per ciò che quotidianamente avrà, la preghiera speciale dell’Est è: “grande spirito guidaci nei tempi difficili in modo che noi non si distrugga con la nostra avidità i preziosi doni che tu ci dai, fa che i tuoi doni non siano mai sciupati, ma rendici consapevoli di tutti i bisogni dei nostri fratelli in ogni tempo”.
SUD – COLORE ASSOCIATO IL BIANCO: rappresenta il Grande spirito nella sua immensa bontà come padre che provvede ai suoi figli nel bisogno quotidiano, simbolizza la purezza del Creatore e la purificazione che avviene con certe Cerimonie Sacre come la “danza del sole”, il rito della sudorazione, ed il digiuno. La preghiera rivolta al quadrante del sud è: “O Grande Spirito, abbiamo bisogno della tua forza per guarire sia noi che la terra stessa, per essere tuoi amici ogni giorno. Noi saremo pazienti ed in attesa di un tuo segno. Grazie O Grande Spirito.
Ognuno dei predetti colori rappresenta anche:
OVEST: NERO – IL CAVALLO E LA NAZIONE DEL CANE – LO SPIRITO DEL TUONO – ED I FULMINI – I TUONI E LA PIOGGIA
NORD: ROSSO – LA NAZIONE DEL BISONTE (Pte Oyate)
EST: GIALLO – LA NAZIONE DEL CERVO
SUD: BIANCO – LE NAZIONI ALATE BIANCHE.
Alessandro Martire
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